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VII.

Il matrimonio di mia sorella
e la nostra partenza per Genova.

(1857).

Ho accennato, nelle prime pagine di questo libro all’idillio che si svolgeva tra l’Egle e Andrea Saiomoni, idillio che si sarebbe prolungato per qualche anno ancora, se io, come dissi, non ne avessi affrettata la soluzione.

Ed ecco come: una sera eravamo tutti riuniti in conversazione nel così detto salotto buono. C’erano i miei, un certo Dreino Passaglia, la famiglia Borrani, il Salomoni, il signor Augusto Pontecchi su cui avrò occasione di ritornare nel corso di queste pagine, una piccola signorina della mia età, la Faustina Lasinio, nipote, io credo, del chiaro filologo che insegna lingue orientali nell’ateneo fiorentino. Questa bimba ed io, non ammesse alla conversazione generale che si aggirava, ricordo, su musica e musicisti, ci eravamo nascoste dietro la tenda della finestra e ci divertivamo a far le signore e gli sposi, specialmente gli sposi, forse perchè a scuola era un giuoco proibito. Il babbo, a due passi da noi, ci guardava sorridendo.

La Faustina fingeva di esserla fidanzata, io, lo sposo.

Dopo molte occhiatine esageratamente tenere, le presi la mano e glie la baciai.

— I baci sulla mano si danno ai preti e alle monache — osservò la Faustina.