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scita! E la malsana compiacenza dell’applauso! E il desiderio ardente di essere, di sembrar bella? E la vanità che s’infiltra nel giovane cuore, perfida e silenziosa, come vena d’acqua traditrice nella fragile ossatura d’un ponte? Ed è da notarsi che almeno trentacinque o quarant’anni sono, i trionfi delle minuscole attrici rimanevano circoscritti nelle mura delle scuole e in seno alle famiglie: ma oggi se ne impadronisce la stampa, che li allarga, gl’ingrandisce, li gonfia a seconda... del nome e del censo della trionfatrice...

Su questo argomento ho scritto più tardi qualche pagina non spregevole forse, ma (senza forse!) inutile. Si può guarir delle perniciose, della tubercolosi e perfino, credo, delle malattie cancerose. Ma chi oserebbe tentare la guarigione della miserabile sconfinata vanità umana?

I miei componimenti, alcuni tentativi poetici e soprattutto quella inverniciatura di coltura generale che mi veniva dalla varietà delle mie letture mi guadagnarono presto l’attenzione del signor Giuseppe e con essa una specie di orgoglioso compiacimento. Qual’è il maestro che non si senta un po’ l’autore dei progressi intellettuali del suo alunno? Questo compiacimento si rivelava pieno, indiscutibile, ogni qualvolta giungeva all’Istituto qualche pezzo grosso. Io ero sempre in ballo per leggere i componimenti, per tradurre ad alta voce dal francese in italiano, per leggere qualche bel passo di prosa classica!

Sentendo sempre parlare di Roma e dell’Italia una, indipendente, libera (si era nel 1863) scrissi un gran