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IDILLIO XIII 93

rapido come un astro di fuoco che piomba dal cielo
velocemente nel mare, e dice un nocchiere ai compagni:
«Ragazzi, su le vele, ché spira la brezza propizia».
Ora, le Ninfe, vedendo sui loro ginocchi il fanciullo,
il pianto del suo ciglio molcían con parole soavi.
E d’Anfitríone il figlio, sconvolto pel caro fanciullo,
mosse, stringendo l’arco di foggia Meonia, sicuro,
e l’arma che la destra rempievagli sempre, la clava.
Ila chiamò, per quanto poteva il suo rugghio, tre volte;
tre rispose il fanciullo; ma fievole emerse la voce
dall’ime acque; e pur tanto vicina, sembrava remota.

Come allorché tra gioghi di monti un chiomato leone
vede un cerbiatto che leva bramíti: la fiera vorace
dal suo giaciglio verso la mensa imbandita s’affretta:
tale fra quegli inaccessi dumeti girava l’Alcíde,
gran tratto percorreva del suolo, cercando il fanciullo.

Oh, sventurati gli amanti! Errando per monti e per selve,
quanto ei patí! Ché oramai, di Giason gl’importava assai poco.

Pronta la nave era intanto, con tutti gli attrezzi, a salpare;
e a mezzanotte, infine, calaron le vele gli eroi,
per aspettare Alcíde. Ma quegli, ove andavano i piedi,
pazzo correva: ché fiero mordeva il suo fegato un Nume.
Aspre rampogne ad Alcíde, che avesse lasciata la nave,
Argo dai trenta banchi scordata, lanciavan gli eroi;
ed egli, a piedi a Colco poi giunse, e all’inospite Fasi.