Pagina:Idilli di Teocrito (Romagnoli).djvu/162

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Questo pensiero han sempre le figlie di Giove e i poeti:
cantar gl’Iddii, cantare le gesta degli uomini prodi.
Dive sono le Muse, le Dive cantano i Numi;
ma noi mortali siamo: mortali, cantiamo i mortali.
Or, chi di quanti sotto la cerula Aurora han le case,
vorrà le Grazie nostre accogliere sotto il suo tetto
amabilmente, né via vorrà senza doni mandarle?
Ché sempre a piedi scalzi ritornano a casa, e col broncio,
e mi rampognano, quando la strada hanno fatto per nulla,
e accidïose di nuovo si seggono in fondo alla madia
vuota, chinando giú tra le fredde ginocchia la testa:
ché qui, se a mani vuote mai tornano, è il loro soggiorno.

Oggi, chi tale è mai che sappia pregiar chi lo esalti?
Non so: perché la gente proclive non è, come un tempo,
l’opere belle a lodare; ché brama di lucro la vince.
Guarda ciascuno, in grembo tenendo le man, dove arraffi,
nulla regala a nessuno, neppure se intride veleno;
ma pronto è sempre a dire: «Lo stinco è piú là del ginocchio

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