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118 TEOCRITO

Dio ci provveda! — Ai poeti ci pensano i Numi del cielo. —
Udire altri poeti? C’è Omero che basta per tutti. —
Quello è il miglior dei poeti che meno mi leva di tasca».

Oh benedetta gente, che giova tenere nascosti
quattrini a iosa? A questo non deve servir la ricchezza.
Càvati invece una voglia, soccorri chi vive in miseria:
poi benefica tanti parenti, benefica estrani:
sempre su l’are immola dei Numi le vittime sacre,
non essere spilorcio con gli ospiti, e sempre da mensa
mandali via contenti, ché vogliano ancora tornarci:
e de le Muse i sacri profeti anzitutto rispetta,
sí che pur quando tu sia ne l’Orco, abbia fama di buono,
né pianger debba, scordato da tutti, sul freddo Acheronte,
come se fossi un pezzente, le mani incallite a la marra,
che nudo bruco piange miseria dai padri dei padri.

Molti famigli già nella casa d’Antíoco sovrano
e nella casa d’Alèva mangiavano il pane del servo:
molti vitelli certo muggíano agli Scòpadi, quando
con le cornute vitelle spinti erano verso il recinto;
a mille a mille greggi guidarono elette i pastori
per gli ospitali Creondi, sui paschi di Crànnone aprichi;
ma niuna gioia avrebber di ciò, poi che l’anima cara
vuotata ebbero sopra la barca del vecchio odïoso,
se non li avesse resi famosi fra gli uomini egregi
l’armonïoso di Ceo cantore, esaltandoli sopra
la multicorde lira: onore ebbero anche i corsieri
che dagli agoni sacri recavano ad essi corone.
Chi conosciuto avrebbe dei Lici i piú prodi, o i chiomati
figli di Priamo, o Cigno, che donna pareva all’aspetto,
se non avessero prima cantate lor zuffe i poeti?
Ulisse anch’ei, che andò centoventi mesi errabondo