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IDILLIO XXV 181

che per l’appunto, Augèa, figliuolo diletto del Sole,
col suo figliuolo insieme, Filèo, di mirabile forza,
è giunto ieri, dalla città, dopo tanto, nei campi,
per rivedere i suoi beni, che numero quasi non hanno:
poiché ne sono i re convinti essi stessi, che quando
cura essi stessi n’hanno, la casa procede assai meglio.
Andiamo ora da lui: ti voglio alla nostra capanna
essere guida io stesso: ché quivi il signor troveremo».
     Ciò detto, mosse; e andava mirando la pelle ferina,
e la gran, clava che il pugno gli empieva, e pensava e pensava
chi fosse mai quel foresto. La brama di chieder lo ardeva,
ma il labbro poi frenava già pronta ad uscir la parola,
ché non giungesse importuna. Ché egli gran fretta mostrava,
e facil cosa non è conoscer la mente d’un uomo.
E mentre alla capanna moveano, sentirono i cani
súbito, ancor da lungi, l’effluvio e il rumore dei piedi,
e chi di qua chi di là, s’avventaron con alti latrati
contro l’Alcíde, d’Anfitrïone figliuolo; ma invece
scodinzolarono al vecchio d’intorno, gli fecero festa.
Ma quei, col solo gesto di prendere sassi da terra,
li sgomentò, li fece lontano fuggire, e minacce
con aspra voce a tutti lanciò, pose fine ai latrati,
pure gioendo in cuore, che guardia faceano alla stalla,
anche quand’egli non c’era. E tali parole poi disse:
«Deh. quale bestia è questa, che i Numi signori del cielo
hanno creata compagna dell’uomo, che bestia fedele!
Se poi tanto giudizio avessero mai da capire
da sé, con chi bisogna, con chi non bisogna adirarsi,
quale altra bestia mai la palma rapirle potrebbe?
Ma ora troppo fieri con te sono, troppo selvaggi».
     Disse. Ed a rapidi passi movendo, fûr presso le stalle.