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IDILLIO XXV 183

quanto dei beni suoi si prendessero cura i pastori;
e il suo figliuolo, e Alcide gagliardo dal senno profondo,
ivan col re, mentr’egli movea fra le tante ricchezze.
Qui d’Anfitríone il figlio, sebbene chiudesse nel seno
pronto a ogni evento il cuore, ché nulla l’avrebbe commosso,
mirò tutto stupito gl’innumeri doni dei Numi,
quando li vide; perché non avrebbe mai detto e creduto
che tanta gregge avere potesse un uom solo, o vuoi dieci
di quelli ch’àn, fra i re tutti quanti, piú copia di greggi.
Il Sole questo aveva concesso retaggio a suo figlio:
ch’egli piú ricco fosse d’armenti che gli uomini tutti;
e prosperar gli faceva via via tutte quante le bestie,
una per una, egli stesso; né alcuno dei morbi piombava
sulle sue greggi mai, che danneggiano sempre i pastori:
sempre crescean le cornute giovenche di numero, sempre
piú belle, d’anno in anno, vederle potevi: feconde
sempre di vivi parti, feconde di femmina prole.
E ben trecento tori con esse movevano a schiera:
grandi le tibie aveano, le corna ricurve; e duecento
altri, colore del fuoco, di già tutti quanti petulchi;
e dodici altri, infine, movevano insieme con quelli,
che sacri erano al Sole. Bianchissimo, come di cigni,
aveano il manto, insigni fra tutti nel gregge piú lento.
Essi distinti dagli altri brucavan la florida erbetta
sulla pastura: cosí superbivan di loro bellezza;
e allor che dalla fitta boscaglia le fiere veloci,
per assaltar le agresti giovenche, rompevano al piano,
primi, sentendole al fiuto, correvano questi alla zuffa,
e con occhiate di strage levavano orrendi muggiti.
Ma sovra tutti gli altri per forza e vigore emergeva,
per fiero animo, assai, Fetonte, che tutti i bifolchi
paragonavano a un astro, perché piú di tutti i giovenchi
esso fulgeva, quando moveva, e spiccava fra tutti.