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234 TEOCRITO

La similitudine è sballata, e c’entra come i cavoli a merenda. Ma, piú che l’alessandrinismo di Teocrito, caratterizza la fatuità del bel ragazzo vanesio e briccone. Esso è il vero gemello del giovinotto dí cui si lagna la famosa vecchia del «Pluto» di Aristofane. Dipinto piú alla svelta; ma con tratti anche indimenticabili. Andatevelo a scordare, questo giovanottone, seduto su la sponda del letto, con gli occhi fissi cocciutamente a terra, tra per protervia, per scontrosaggine, e per ipocrisia!

III

LA SERENATA

La prima parte di questo idillio si svolge agile, diritta, pura, come uno stelo. Vi sbocciano motivi di poesia popolare (desiderio di tramutarsi in ape) e rusticana (pupilla d’azzurro, tòcco di burro), tratti graziosi e pittoreschi (perché non fai capolino?) o dolcemente puerili (perché non mi chiami piú còccolo? — mi poggerò a questo pino cosí, farò bella figura, e tu dovrai guardarmi), e reminiscenze di superstizioni popolari (il boccio di papavero schiacciato per consulto amoroso, il battito dell’occhio), e accenti tragici senza orrore (mi scaraventerò nel mare: mi lascerò sbranare dai lupi). Meravigliose corolle, tra un fitto intreccio di fresche foglie; e le agita un fresco vento primaverile.

Ma, presso all’apice, si appesantisce, si deforma, si macula: incominciano gl’inevitabili ricordi alessandrini; e non son pochi. Atalanta. — Gran corritrice, che proponeva ai suoi pretendenti la gara del corso: vincitori, avrebbero guadagnata la sua mano: sconfitti, avrebbero perduta la propria testa. Il fortunato Ippomene ottenne da Afrodite alcuni degli aurei pomi delle Esperidi; durante la gara, li lasciò via via cadere a terra; Ata-