Pagina:Idilli di Teocrito (Romagnoli).djvu/310

Da Wikisource.

NOTE XXIII-XXIV 263

bensí da un tecnico, oppure da un appassionato frequentatore di studi di scultura, Arte un po’ di seconda mano, e sia pur nobilissima: e tendenza a varcare i confini della propria arie, per assimilare i modi d’un’altra: segni entrambi di deciso alessandrinismo. Ad ogni modo, i pregi di questo idillio sono tali e tanti, che credo proprio ingiustificato qualsiasi dubbio su la partenità teocritea.

XXIII

L’INNAMORATO

È una delle tante storielle d’amore alessandrine, come potremmo trovarla in Ermesianatte, in Alessandro Etolo, in Callimaco. Salvo che qui l’amato bene è un bardassotto; e se quelle sono insipide, questa, al solito, ci fa un po’ ridere, e un po’ schifo. L’unico merito del poeta, è quello di aver trattato in esametri un argomento pel quale sembra fosse di prammatica il distico elegiaco. Merito davvero non trascendentale; e perciò questa volta si accettano con gioia le varie ragioni enumerate dai filologi per contendere a Teocrito la paternità di questo mostricino.

XXIV

ERCOLE IN CULLA

Anche qui Teocrito non isfugge al terribile confronto con Pindaro; e anche qui n’esce sconfitto. Vero è, che l’ode per Cromio di Siracusa, in cui il poeta di Tebe descrive anch’egli la prima impresa di Ercole, contiene tratti che sono meravigliosi anche fra la perpetua meraviglia di Pindaro. Per esempio: