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XXXIV PREFAZIONE

già nel dominio dell’arte, dov’è regina la eroica follia; e che, nell arte come nella vita, spesso consiglia accomodamenti e rinuncie inopportune.

Per intendere la vera profonda essenza della poesia di Teocrito, nulla, forse, vale tanto, quanto recarsi in pellegrinaggio spirituale alla patria del poeta, nei luoghi ov’egli nacque e trascorse la giovinezza.

Perché il grande passato non è ancora tutto dileguato da quella terra di prodigio.

Se in un mattino di maggio andrete errando fra la ridda di atomi fiammei che il sole effonde su le campagne di Siracusa, udrete spesso, da sotto una rupe, o dall’ombra d’una quercia secolare, levarsi un canto o un suono di flauto, con accenti magici e strani, remoti da ogni inflessione moderna, modulati, puramente, su le antichissime gamme di Frinico e d’Olimpo. E vi parrà d’udire la voce di Dafni, la sampogna di Pane.

E se due pastori s’incontrano, udrete nelle loro parole suonar le gare e le immaginose invettive di Morsone e di Cornata.

E se dalla campagna tornerete alla città, e andrete vagando per le strade e i chiassuoli che addensano i loro bruni meandri intorno alle poche arterie principali, le conversazioni che continuamente si annodano da uscio a uscio, da finestra a finestra, vi sembreranno un’eco del cicalio delizioso di Gorgo e di Prassinoe.

Altri elementi, poi, dell’ispirazione di Teocrito, sono rimasti immutati: il cielo, il mare, la campagna.

Se dal candido estuare del porto spingete il vostro battello contro la foce dell Anapo, e risalite il fiume verso la sorgente invisibile, vi sentirete d’un tratto rapiti lontano dalla vita, nel reame del sogno, che non conosce limiti, né di spazio né di tempo.

Via via, lungo le basse rive fiorite, migliaia e migliaia di papiri