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L’ultimo Shaw Pervenuto all’apogeo della fama c, insieme, della sua perfezione artistica: riuscito a imporre in un ambiente di quadrate abitudini mia nuova logica paradossale: soddisfatto in molte dolio sue esigenze, un tempo rivoluzionarie, da un’epoca vertiginosamente progressiva; — Bernard Shaw pareva, ancora quattro unni fa, chiuso in un circolo ormai compiuto, in una figura prossima ad assumere la rigidità del monumento.

A breve distanza, liner to.1/rthuseluh o Saint.loan hanno convinto i critici c il pubblico di errore. Un nuovo Shaw si è vigorosamonte manifestato: la sua arte e il suo pensiero hanno assunto una vesto in grun parte diversa, si sono slanciati per vie fin qui non tentate.

Non diciumo che la personalità dello scrittore sia passata per una totale metamorfosi:

nelle sue rinnovato linee traspare tutta la strut* tura natica. Ma il rinnovamonto è così cospicuo o importante, che metto conto di studiarne i punti fondamentali. Due documenti in gran parte autocritici permettono all’analisi di penetrare abbastanza facilmente in profondità: o sono‘le due prefazioni amplissime ai due drammi che rapprcsentauo questa nuova fase.

La religione del darvinismo La lunga justification del Ritorno a Matatal emme vuol essere una piccola storia spirituale deiringhilterra in genere e di Shaw iu ispecic nell’ultimo cinquantennio, sotto l’angolo visuale della diffusione dello teorie evoluzionistiche.

Veramente è così, che il darvinismo e il neodarvinismo hanno avuto nel loro paese d’origiuo un significato intimo non avvertito uc assimilato altrove. L’antitesi fra evoluzionismo c tradizione biblica, che por noi ebbe la fuggevole importanza di un nuovo scontro dopo mille tra scienza e teologia, ha assunto |>cr gli inglesi il valore di un profondo dibattito religioso.

Pare, del rgsto, che la categoria della religiosità si sia assicurata nel toro spirito una prevalenza assoluta. Il darvinismo, pertanto, con le sue filiazioni e i suoi derivati, è stato in Albione non un’apertura di breccia per uscire dal chiuso recinto della Scrittura in campagna aperta, ma l’edificazione di un altro fortilizio di opinioni e di argomenti di fronte a quello del Pilgrim*» progress c della Received Version.

Lo spirito anglicano ha impresso alla sua nuova creatura lo stesso suggello che diede già al protostantisrno e all’Imperialismo sotto il regno della regina Betsy, al parlamentarismo sotto il regno di Giorgio IV.

Si comprendono i tormenti di Shaw in questo letto di Procuste della scienza ortodossa, c la Bua pronta comparazione dell’uuo con l’altro letto (quello della teologia!) Shaw è un neodarviniano in tutta regola e si è fatta c foggiata la sua coscienza evoluzionistica con meditata elaborazione: non sfuggono però alla.Bua critica o alla sua ironia le contraddizioni che la nuova religione implica non meno dell’antica.

Sopratutto lo affligge l’inevitabile constatazione che l’evoluzione progressiva della specie umana, per quanto possiamo prospettarcene la traiettoria, rappresenterà una regressiva eliminazione di tutti quei valori cho per ora fanno l’umanità infelice a un tempo e gran* de. Tuttavia egli è convinto che il darvinismo rappresenti una grande idea, la cui affermazione concreta noi più vari campi della vita ò destinata a rinnovare l’umanità.

Sente, Bernard Shaw, la sofferenza di chi contempla uno spumeggiante rivo c insieme intravvedo l’immobile attesa dello roccie nel fondo: perchè così appunto attendo per lui lo spirito mentre il divenire si svolge. Ma il contrasto non Io abbatte, poiché alimenta di ricca vena la sua ironia: e così egli può, con ferma fede, proclamare cho la dottrina evoluzionistica muterà faccia anche all’arte e la risolleverà alle altezze del teatro greco.

Tormenti di un poeta senza poesia 1 veri tormenti di Shaw sono nel senso della sua incapacità di tramutare l’ironia in lirica, l’analisi delle contraddizioni e l’affermazione della fede in poetico impeto: dolorosa inquietudino di cui pati già un altro grande scrittore inglese, per qualche verso suo precursore e maestro, Gioitala Swift.

La grandezza del disegno epico di Hack to Jlediti salali a la squisita coscienza dei vai tri drammatici affioranti in ogni momento dell’evoluzione umana non tolgono cho vi manchi di frequente il respiro là dove tu commedia si fa tragedia, è lo spirito dulie nuove dottrine dovrèbbe, secondo l’aspiraziono del poeta, elevare la scena shuwiana a sublimità sofoclèe. Il desiderio della poesia è mia delle cnratteristicho più salienti delle ultime opere di Shaw: ma in pari tempo è l’incrinatura più forte nellu loro solidissima costruzione, appunto perchè è un desiderio c non una realtà.

In tutto il teatro del nostro era già latente un siffatto conato: l’impostazione drammatica dello tesi tendeva a smussare i loro ungoli con più delicati contorni. Senonchè il cervello di Shaw, essenzialmente intellettualistico, trasformava ogni cosa, senza residuo, in problemi dialettici.

La stessa utopia socialistica si raffreddava e si logicizzavu sotto il gettito continuo dell’ironia. Ma ora invece i duo clementi, il jM>etioo e sentimentale, il logico e ironico, sono di forze più uguali; o le profonde idealità dello scrittore, la sua sensibilità concreta, il suo interiore fuoco romnntico si affacciano dalle quinto più largamente. Puro, l’usata, forma ancora imprigiona, sia pure soltanto in parte, queste energie; u il sorriso di Mefistofele continua a spuntare fra le profezie di Faust.

Tanto nella satirica finzione dei «Fratelli di Barnaba», cho occupa sì gran parto dell’insconaturn del Matusalemme, quanto nell’apocalissi fiimlo culminante con lo stupende parole di Lilith sopra i destini dolla vita non è difficile ravvisare l’istcsaa inquietudine, l’identica oscillazione tra due poli contrari. Dovrebbe ora vincere la forza dei segreto mistico, dol senstit inosprcsso: ma resta tuttavia equilibrata dalla chiarezza della ragione, o cioè vinta ancora una volta nel suo sforzo di dominare il dramma c di farne un poema. I personaggi simbolici dell’ultima parte riescono, sì, a sollevarsi da terra sopra un pigino di immateriale lucidità, di evanescenti sfumature: ma le loro parole hanno ancora il peso terrestre e le diritte scanalature scolpite dal dubbio e dalla critica.

Ugualmente l’epilogo della Santa Giovanna, in cui dovrebbo operarsi una consimile trasfiguzione tragico-lirica, conserva iu pieno tutto il tòno del grottesco di Slmw, che suole tanto irritare i suoi avversari.

Astaroth e la Santa E vedete Shaw alle prese con il problema di Giovanna d’Arco. Nessun dubbio che il suo punto di vista sia il più equilibrato e corretto di quanti mai-ne sono stati scelti e difesi per considerare la Pulcclla; nessun dubbio che protagonista, ambiente storico e ambiente umanò siano stati ben colti, individuati, sintetizzati — per ciò che poteva valore in teatro (parliamo, si capisce, di un teatro molto letterario) e da parte di un artista.

Il Shaw della prima maniera ci avrebbe lavorato sopra un bel /Mistiche, e il suo amaro riso si sarebbe perfettamente adagiato nelle pieghe di un play di sapore elisabettiano. Adesso egli ha sentito invece in Giovanna un problema complicatissimo, tutto intrecciato attorno a una semplice e unitaria figura, — e insieme si è innamorato di questa semplicità e unità centralo.

La poesia (nel doppio significato, realistico c soggettivo, di questo termine) della fanciulla eroina ha tòcco il cuore del vecchio ironista, anzi ne è scaturita come una rivelazione.

Ma egli non è, di fronte a lei, nè il fiero demolitore di un tempo, devoto delle acerbe verità c dello sgradevoli constatazioni, nè un nuovo cantore ricco di ingenua vena: compreso di gentile venerazione c di affettuosa simpatia per la verginità senza macchia, per la puerile audacia della fanciulla orleanese, e proteso ad afferrare il palpito di questo cuore ingenuo, — non dimentica tuttavia gli usati accorgimenti e le vecchie malizie.

Si pone, infatti, Shaw a interpretare Giova»:

na con un arsati ale di dilemmi, di dubitazioni, di teologiche sottigliezze, che lo mettono senz’aitro nella posizione di Astaroth, il diavolo buono e sapiente ma ribello a Dio. E- la paterna benevolenza con cui egli si prende a cuore le sorti della liberatrice della Francia non basta a nascondere la piega pungente della bocca che pur dice le parole della pia esaltazione. Mancando cosi ii cemento della sintesi poetica, appaiono agli occhi di tutti le saldature del faticoso edificio:

come, per esempio, un forte movente dell’interesse di Shaw per la santa sia il fatto che da lei furono battuti proprio gl’Ingleai; c come egli traguardi, attraverso una prospettiva abbastanza esatta del Quattrocento, a un Medioevo ingenuamente romantico che si sovrappone a quella prospettiva v le dà quel colore di |>aradosso cho ha sconcertato quasi tutti i critici, — e come la sua preoccupazione di scostarsi nettamente tanto da Franco quanto da Mark Twain nasconda in realtà il disagio che nasce da una contaminazione Sopratutto, di pagina in pagina noi assistiamo a un soffocato diverbio frn Astarotte volterriano impenitente e Astarotte pentito: donde quell’impasto di sublime e di buffonesco, tra scenari spettacolosi c piccoli giuochi di scena, che non n torto c stnto imputato ulta Sai ut-Joan.

Drammatica spirituale Bure, noi persistiamo a credere che i due ultimi drammi di Shaw rappresentino qualche cosa di positivo nella storia della sua attività:

e non materialmente soltanto. Occorre, per intendere questo loro valore, rendersi conto che siamo di fronte a una tradizione letteraria e, in particolare, a un atteggiamento individuale che molto si staccano da quella forma idealo dell’alt e che noi siamo arrivati a sviscerare e cho effettivamente oggi domina lo letterature del continente. Gli inglesi non hanno mai operato alcuna distinzione (se si eccettui il mondo artistico di Shaw, che è fuori classo, c la fredda u i-isnpore classicità di Dryden o seguaci) fra la poesia é i problemi morali e religiosi, anche i maggiori bardi e trovieri del suolo d’Albione, anche Shelley cuore dei cuori o il melodioso Thomas Moore, sono stati sempre ad un tempo moralisti n poeti. La profonda coscienza religiosa della stirpe anglosassone imprime ineluttabilmente un carattere riflesso alla sua letteratura:

il senso della prosa c dello poesia non vi può fiotire senza un terzo senso, cho è quello del contenuto intellettivo. Lettori o autori sono in Albione od uno stesso grado malati di questa fortificante v prosperosa infusione del bene nel bello, della verità nella grazia. Eru, su altre basi, anche la malattia dei Greci c del Medioevo cattolico, di Bachilo c di Dante Ma lasciamo per ora insoluto il problema che nasce da questa considerazione (e cho si può forse risolvere senza scuotere i nostri più fermi concetti, ma solo raiììnàndoli e ritoccandoli): accontentiamoci di far notare che essa illumina abbastanza la recente fase di Shaw. Questo fiero critico del suo tempo, spietato Giovenale del nuovo secolo e ostinato assertore di un libertario sistema di idee, si è rimesso in sostanza, sebbene.

a suo modo, sulla linea della grande letteratura di cui era superbo ribelle o vi ha riversato tutti* le forze acquisite iicIIa diuturna c solitaria secessione. Che i termini in cui si è convertito costituiscano ancora uno scandalo per i farisei del suo paese, non importa: la conversione è avvenuta. E tutte le deficienze che siam venuti additando nelle opere prese in Un paradosso “L’evoluzionismo nel teatro „ Sulla scena — la commedia, come arto distruttiva, derisoria, critica, negativa, tenne il teatro aperto mentre la tragedia sublime periva.

Da Molière a Oscar Wilde abbiamo avuto una serie di autori comici cho, se non avevano da dire nulla di fondamentalmente positivo, erano almeno avversi alla falsità e all’imposturi*, c non solo, secondo le loro proteste, caSligabant ridendo mores, ma, per usare le parole di Johnson, andavan purgando le nostre menti dalla rozzezza nativa c così mostrando in presenza dell’erroro, una inquietudine che è il più sicuro sintomo della vitalità spirituale.

Frattanto il titolo di tragedia era assunto per drammi in cui tutti venivano ammazzati all’ultimo atto, proprio coinè, a dispetto di Molière, si chiamavano commedie azioni sceniche in cui tutti all’ultimo atto si sposavano. Ora, nè tragedie nè commedie si possono comporre in obbedienza a un precetto che f19$a soltanto gli ultimi momento dell’ultimo atto: Shakespeare non trasse A mieto dal suo eccidio finale, nè la Dodicesima notte dal matrimonio con cui si chiude. E neppure poteva farsi consapevole iconografo di una religione, perchè non aveva religione. Perciò doveva esercitare i suoi straordinari talenti nella dilettosissima arte dell’imitazione scenica, dandoci la famosa «delineazione di caratteri», che rende i suoi drammi, come i romanzi di Scott, Dumas, Dickens, così deliziosi. Ancora, egli sviluppò quella curiosa e discutibile foggia di costruirci un rifugio dalla disperazione mascherando da scherzi lo crudeltà della natura. Ma con tutte le sue doti, resta il fatto che egli non trovò mai l’ispirazione per scrivere un dramma originale, ma solo ripulì vecchie scene, e adattò al tealro leggende popolari e capitoli di storia tratti dalla Cronaca di Jloliushed e dalle Vite di Plutarco.

Tutto ciò egli fece (o non fece: poiché vi sono quantità negative nell’algebra dell’arte) con una audacia che dimostrò quanta distanza fosse tra i) suo mestiere c la sua coscienza. E’ vero che egli non prende mai i suoi personaggi dalla leggenda che ha tolto in prestito, perchè faceva meno fatica o più vanto a crearli nuovi di zecca: ma nondimeno egli accumula gli assassina e k* malvagità della leggenda sulle sue proprie creature sostanziate di nobiltà senza alcun scrupolo no cura alcuna delle incongruità cho ne possono venir fuori. E continuamente il suo bisogno vitale di lina filosofia lo spingo a cercarsene una col metodo strettamente professionale di introdurre filosofi quali personaggi nei suoi drammi o di render filosofi i suoi eroi; ma quando vengono sulla scena essi non hanno alcuna filosofia da esjwrro, sono soltanto dei pessimisti c degli schermitori; e i loro pretesi discorsi filosofici occasionali, come quello sulle «etto età dell’uomo e il soliloquio sul suicidio, lascimi vedere iu quali tenebre profonde restasse Shakespeare rispetto al vero significato della filosofia. Egli si cacciò per forza in mezzo ai più grandi drammaturghi senza aver messo piede una sol volta nella regione in cui son grandi Michelangelo, Beethoven, Goethe e gli antichi poeti tragici ateniesi. E non sarebbe grande per nulla se noli fosse che aveva abbastanza religione per avvertire che la sua posizione «reliesamo sono semplicemente la documentazione di questa crisi di indirizzo artistico. Si capisco che trasferendosi in pieno sopra lo fondamenta della tradizione l’arto del vecchio satirico non poteva a meno di scuotere sé stessa o lo fondamenta.

Ciò cho è nato da questo movimento si potrebbe dunque definire come una nuova drammatica, di carattere strettamente «spirituale», noi senso che danno a questo tonnine i compatrioti di Show, usandolo per designare alcunché di più interno alla vita dell’uomo che non sin colto dalle consueto determinazioni religiose, morali, politiche della nostra coscienza. Distrutte e dissolte queste determinazioni nella sua passata opera di demolitori, Shaw si è affacciato a quel mondo intimo o ha capito clic qui la demolizione cessava e doveva cominciare la costruzione e la rivelazione. Rack to Methuselah u Saint-Joan hanno invero un andamento di libri esoterici sopra i valori nascosti doll’a io». Il signor Barnaba che in un anno pvess’a poco della nostra óra pensa di poter prolungare a piacimento la vita umana o di dosarne la durata secondo loggi matematiche, o la sognante guerriera che passa senza fatica dal pascolo alla soglia regale, dal mantello di betyère benestante all’armatura di cavaliere: tutti e due sono manifestazioni di un infinito o indefinito mistero, che s’incarna in mille forme è in nessuna si esaurisce, anzi nepp’ur si concreta.

Questo mistero è l’ambiente dello nuova drammatica shawiana, cho tenta, ardita e temeraria, di dominarlo con i suoi raffinati artifici, ma anche è penetrata dalla coscienza che questi artifici son vani «che per comprendere bisogna venerare.

Questo mistero è il nuovo mondo di Shaw.

Sostino Caiiameixa.

di B. Shaw:

giosa era disperata. La sua più grande opera, il Ite Lear, sarebbe soltanto un melodramma se non fosse per il suo espresso riconoscimento che, se nulla più vi è a dire dell’universo di quanto può dirne Amleto, allora «come le mosche per i ragazzi scioperati così no’ siamo per gli dèi:

essi ci uccidono por loro diletto».

Da Shakespeare in poi, gli autori drammatici hanno continuato a lottare con la stessa mancanza di religione; e molti di essi furono costretti a diventare semplici sfruttatori di sensazioni più alte, non potevano trovare materia miglioro. Da Congreve a Sheridan furono così sterili, nonostante il loro spirito, che fra tutti non riuscirono a mettere insieme quanto rampollò dalla sola vita di Molière: e tutti ebbero (non senza ragiono) vergogna della professione loro, e preferirono essere considerati come puri o semplici uomini alla moda con una piega di stravaganza. L’unica anima che si salvò in quel pandemonio fu Goldsmith.

I maestri dei miei contemporanei (ora tutti veterani) spilluzzicarono problemi sociali secondari piuttosto che scriverne integralmente: senza altro più vasto scopo che quello di guadagnarsi denaro e fama. Uno di loro mi confessò il suo sentimento d’invidia verso gli antichi tragici greci porche gli Ateniesi chiedevano loro non già qualche «nuovo e originale»

travestimento di quella mezza dozzina di situazioni sfruttabili in cui consiste il teatro moderno, ma i] più profondo insegnamento cho riuscissero a trarre dalle famigliari e sacre leggende del loro paese. «Mettiamoci tutti — diceva— ascrivere una Elettra, un’Antigone, un Agamennone, e facciamo vedere quel che sappiamo cavarne».

Ma egli non ne scrisse niente, perchè queste leggende non sono più religiose: Afrodito e Artemide e Posidonc sono più morti dello loro statue...

Anche i giganti del dramma moderno, fbsen c Strindberg, non ebbero da offrire al mondo maggior conforto di noi: anzi molto meno; perchè essi ci rifiutarono anche la consolazione shakespeariana e dickcnsiana del ridere della sventura, accuratamente denominato «sollievo comico».

E i nostri emancipati giovani successori si beffano di noi, molto ragionevolmente. Ma neppur essi sapranno far meglio finché il dramma rimane pre-cvoluzionistico. Basta che considerino la grande eccezione di Goethe, che, non più ricco di Shakespeare, Ibson o Strindberg in fatto di talento specifico pei l’arte drammatica, sta tuttavia nell’empireo mentre essi arrotano ì denti con furia impotente giù nel fango, o tutt’al più trovnno un acido godimento nella ironia del loro attributo. Goethe è olimpico, gli altri giganti sono infernali iu ogni cosa salvo che nella loro veracità c nel loro ripudio della irreligione del loro tempo- sono, cioè, amari o disperati. Non è questiono di semplici date se si nota che Goethe era evoluzionista già nel 1830, o molti autori drammatici, anche dei giovani, sono a tutto il 1920 ancora non tocchi dal principio dell’evoluzione creatrice. Ibsen fu divinizzato fino al grado di sfruttare l’ereditarietà sulla scena a quel modo che gli antichi tragici ateniesi vi usavano le Eumonidi; ma ne’ suoi drammi non vH> traccia di alcuna