Pagina:Il Baretti - Anno III, n. 12, Torino, 1926.djvu/6

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Pftg. 120 IL BARATTI corcato di recento il Valentino*. Dall’incontro dunque d’una larga esperienzi storica od umaua, ooncneta o ricca di motivi, e d’uua fodo calda o tenace, sorgo la figura di questo Principo cho dovrà «portare la grandezza in una terra «corsa, predata, forzata o vituperata *, in un popolo «stiavo, servo, disperso*: creando uno stato sufficientemente grande ed organizzilo por difendere l’Italia dai barbari. Tn questa storia della genesi del Principe son già impliciti i caratteri o i limiti del pensiero del M. Nella determinazione di questi limiti individuali o storici ò appunto la parte più originalc o più profonda dolio studio ebo stiamo esaminando. La creazione del Fiorentino, che vuoi essere un piano pratico od effettuabile, è ancora una volta un’illusione. Essa poggia su una por/etta coscienza della profonda eorrusione d’Italia: ma la speranza del rinnovamento impedisce al M. di scorgere le ragioni vere di questa decadenza politica; cosicché ogli vuol vederne la causa prima nolla mancanza d’una milizia propria. Qui, sullo tracce dello Hobohm e del Delbriick, Io Ch. dimostra chiaramente ed efficacemente gli errori particolari cho inducono il M. a condannare il mercenarismo, fenomeno necessario e giustificato della storia europea del see. VX, e a confonderlo oon il sistema dei condottieri, proprio degli stati italiani; e gli impodisoon di vedere le vero causo dell’inferiorità, anche militare, doi principi noetri. In realtà qui il M., «noi richiedere che lo armi siano affidato agli uomini stessi della terra, ritorna ad essere l’uomo dei municipi, il discendente degli antichi borghesi del libero Comune*. Dopo aver considerato assento il popolo dalla scena politica in tutto il suo libro, ogli lo richiama por dargli le armi o affidarsi alla sua forza morale. Ricomparo così in questo pagine del Principe e naW’Arte della Guerra, lo spirito doi Discorsi, privo però dei suoi sostegni storici naturali: «quella confusa fiducia nel popolo, più forte di ogni pessimismo teorioo, che è pur necessaria por affidargli le armi, rimane sentimento ingenuo od oscuro». Così il Principe fu in sé stesso e in relaziono ai propositi di chi lo scrisse, una tragica, so pur eroica, illusione. Como la realtà dimostrò quasi subito. In questo oontraato pieno d’amore del M. co’ suoi tempi, la sua figura acquista un potente doloroso rilievo. E qui lo Ch. ha pagine finissime, dove mette a confronto l’immaginar prepotente e la robusta indomata passione che rompe nel M. il dignitoso atloggiamonto dei diplomatico, con la marmorea compostezza ed eleganza del Guicciardini, che preannunciano «la regolarità o la monotonia di Firenze gran* ducale*: pagine che non si riassumono, ma bisogna leggero. II vero valore del Principe è oltre ciò che il M. poteva vedere c prevedere: nel netto riconoscimento dell’autonomia e della necessità della politica al di là del bene o del male morale, e nella robusta invocazione d’un solido governo oentralo. «Lasciando corno termini all’operare doi reggitori solamente la loro capacità ed energia, il M. apriva il campo ai governi assolutistici». Di questo valore storico ed europeo del suo scritto eg’i doveva essere naturalmente inconsapevole: «creando il Principe per un passionale ed immediato intento, non poteva sospettare di consegnar in tal modo all’Europa il codice della sua storia di duo secoli». In che cosa dunque il giudizio de’ nuovi critici si distingue da quello dei loro predecessori c lo superai Per rispondere a questa domanda in modo pieno, si dovrebbe venir forse ad esaminare i pregi o i difetti di tutta la critica recente, e il nostro discorso allora s’allungherebbe troppo più che non sia nelle nostro intenzioni. Ma intanto un puntò di stacco e di superiorità balza agli occhi d’ognuno. Voglio dire la maggior preparazione filosofica delle generazioni nuovo, che permette a queste d’uscir fuori alfino dai ceppi duna questione moralistica, nella quale finora più o meno tutti gli studiosi, aucho dell’Ottocento, nò certo meno degli altri il Villari, s’eran venuti ad impaludare. Concludessero essi francamente la immoralità delle teorie machiavelliche, oppure, mossi da malintesi scrupoli nazionalietici e da simpatie d’umanisti, si sforzassero di mettere nnanzi ancora una volta le giustificazioni finalistiche, praticho, sentimentali, che correvan già nel Seicento e nel Settecento, tutti avevan posto la questione nel modo peggiore. Solo il De Sanctis aveva saputo sottrami ai pericoli d’una disputa bizantina, uscendone fuori d’un salto, e mettendo in rilievo, del suo uomo, la serietà e la passione di fronte ul mondo del Rinascimento. Ora la formulazione crociana dell’autonomia dell’attività economica o utilitaria o politica Ija offerto ai giovani critici un nuovo ponte di sostegno, logicamente più saldo. Converrà però ch’ossi non s’inorgogliscano troppo. Perchè anzitutto questa teoria non risolve, sibbeno spoeta soltanto la questiono morale proposta dagli studiosi precedenti: se non potremo dire più, per adoperare lo parole d’una celebro nota manzoniana, che il M. abbia «messa l’utilità al posto supromo che appartiene alla giu8tizia*, e osserveremo invece ch’egli ha teso il saio sguardo appunto a scoprire ed isolare la categoria dell’utilità: ciò non por tanto i rapporti fra utilità e giustizia, attività politica e morale non mutano, in specie noi rispetti dolio opero machiavelliche. In secondo luogo, cotosta sooperta del M. ò da ritenersi piuttosto implicita cho non apertamente enunciata negli scritti del Fiorentino: onde erra chi, conio l’Ercolo, si sforza di mostrarvela svolta o teorizzata in tutti i suoi aspetti. Come abbiam dotto. E porciò, per altro verso, fa bone chi, come lo Chabod, lascia in paco la morale o si chiude nella storia. Ma non qui forse ò il merito maggioro dei nuovi critici: bensì nolla determinazione appunto dei limiti storici entro i quali bì muove il M. e dell’efficacia ch’egli ha esercitato sugli spiriti dei contemporanei o dei posteri, del luogo insomma ch’egli occupa nella storia del pensiero europeo. Per questo lato entrambe le opero cho abbiam sott’occhio si rivelano assai utili, ma più quella dello Chabod. Nò più si tratta di raccòglierò un vasto materiale erudito, ciò che avovan fatto egregiamente il Tommosini e il Burd: bensì di -aiutarlo cd ordinarlo storicamente. Nel cho il miglioro dei nostri critici si riattacca piuttosto ad alcuuo opere sluuiiero recenti, in specie tedesche, come quella assai l’importante del Moinecke, che tesse la storia dell’idea di ragion di stato. Dalla limitazione storica ò naturale che la figura del M. coca alquanto diminuita e priva dell’antico rilievo statuario. Ad alcuno spiacerà forse di veder tolti al Fiorentino ancho il merito c la consapovolezza doi suoi pensamenti più solidi e duraturi, come lo Ch. ha fatto. Mo ancho qui si sento l’influsso delle teorie recenti che umiliano Tonerà degli individui di fronte alla storia. Abbiamo messo insieme questi due libri fin qui, come esempi del nuovo indirizzo degli studi. Ma è giusto osservare che del tipo moderno di saggio critico tiene assai più l’opera dell Erodo, così arida e tecnica come essa è, anche nello stilo, che non quella dello Chabod. La qual© anzi talora si riattacca felicemente alla vecchia maniera del ritratto umano, e raggiunge sposso efficacia letteraria. Anche porciò, sebbene non se lo proponga, giova assai meglio dell’altra a chi voglia correggere od integrare alcuni risultati del problema poetico, del M.. Per es., quando ricollega acutamente lo svolgimento stilistico dai Discorsi, all’/lrtc della Guerra, alla Vita di Castruccio, alle Storie, oon il mutarsi successivo dell’animo del M. in confronto a’ tempi o alla sua passione. Ma sopratutto questa rappresentazione d’un M. appassionato, cho oorre.dietro allo sue fantasie e ai suoi «caatelluzzi» ci insinua ancor una volta il dubbio che esagerasse un tantino il De Sanctis quando definiva quella sua prosa «chiara e piena come un marmo*, «tutta pensiero e tutta cose», anzi «tutta e sola cervello». Allo stesso modo altri parlò poi del M. corno d’un impassibile chirurgo, e anche più di recente su questa interpretazione tornava ad insistere Mario Rossi in duo analisi ben note di due brani del «Principe». Si tratta più che altro di sfumature.perchè anche il De Sanctis avvertiva che quella prosa è un marmo sì, ma «un marmo qua e là venato», e più chiaramenVe ancora che in quegli scritti «la cosa vien fuori... naturalmente colorita, traversata d’ironia, di malinconia, d’indignaziono, di dignità, ma principalmente lei nella sua chiarezza plastica». Quanto poi al contrasto che il De Sanctis stesso pone fra questa prosa, come ricca d’un contenuto nuovo scientifico cd umano, e tutta l’altra del Cinquecento quasi, come rivolta a perseguir soltanto un ideale ’di perfezione formale, ci sarebbe probabilmente molto da ribattere. E per conto nostro pensiamo che la giusta posizione storica di quella prosa risulti meglio da un confronto fondato su tutt’altro ragioni, proprio non di contenuto ma di forma,» quel modo che facevano fino a poco fa i nostri umanisti, e nessuno forse meglio del IJs»o, in poche pagine pressoché sconosciute. Ma questa è una digressione che,a voler essere dimostrata, richiederebbe tutto un altro e forse più lungo discorso. NATALINO SAPEGNO «L’Eco della Stampa „ il ben noto ufficio di ritagli da giornali e riviste, fondato nel 1901, ha sede esclusivamente in Milano (12) Corso Porta Nuova, 24. Abbonatevi al “ Baretti „ La giostra L’enigma di Gide Noi sentiamo per Gide nessuna curiosità pettegola; seguiamo con attento interesso lo danza inquieta della sua sensibilità multicolore. Il Journal des Fiur-’donnayr.nn, umuta docJmeiitu7.:one dc’la genesi d. un r Manzo elio era già por metà intarsiato di rivelazioni sulla propria costruzione, non ci ho quindi soddisfatto. Abbiamo ammirato lo bello sentenze o certi icastici «bianchi o neri» raffiguranti delicate fasi della creazione artistica: ma le nostre esigenze critiche sono rimasto intatte. Esse risultano dai dati seguenti: 1. - Gido scrittore è un pallido e smorto stilista, i cui periodi si trascinano e muoiono l’uno sulTaltro oomo quaglio al passo; 2. - Gide si prepara il materiale con Tingcnuità di un romanzatone di provincia, accumulando ritagli di giornalo con la cronaca dei delitti o discutendo sulTindiudualità dei suoi porBouaggi eoa l’aria di muovere doi fantocci; 3. - I suoi protagonisti c deutoragonieti, lo sue liaisons omosessuali, i suoi diavii di viaggio o di tavolino destano al primo contatto una certa ripulsione, cho non si riesce a dimenticare; 4. - Qon tutto questo Gido ò un maestro, i suoi libri hanuo un fascino indiscutibile, e la sua figura di artista, dalle vourritures terre, stres al Voyage au Congo, ci tormenta corno un problema. Forno la chiave delTeuigma sta noi tumulto malcelato, nella costante inquietudine di questa coscienza di calvinista protesa verso un ideale atticamente pagano. Antl - Joyce. Tutta la fama di Joyce è fondata sulla illeggibilità di Ulysses e sulla possibilità di sostituirlo correntemente con la lettura di Dedalus, dei Dubliners ecc. Crediamo che quando le persone che hanno letto Ulysses sul serio siano più di mille, o non appena poi il libro osca tradotto in francese, questa fama andrà sottoposta a una severa rivalutazione. Joyco passa por un pornografo, ed ò il più innocente e casto scrittore del mondo; Joyce ò ritenuto un amatore di squisitezze artistiche, e invece ò rozzo e inelegante in tutto il suo stile. L’enorme mole di Ulysses, minuzioso resoconto delle azioni, dei gesti, dei pensieri, dei sogni di un Signor Bloom qualunque, con un brillante prologo senza costrutto e quarantadue pagine di vertiginoso monologo, senza un punto nè una virgola, della signora Bloom alla fine, — non è un’opera d’arte. E’ una congerie di finissimo o sottili analisi psicologiche, di osservazioni micrometricho e microscopiche sopra il più comune e ordinario piccolo borghese che si possa immaginare; ma la sintesi non c’è. La sintesi, e in misura apprezzabile c’è solo nelle opere minori, in cui Joyce non era ancora, o non più, veramente o schiettamente so stesso. Ritorno a Mallarmé. II numero di novembre della Nouvelle Revue Francaisc — dedicato a Mallarmé, la nuova edi» ziono dell’ampio saggio di Albert Thibnudet — dedicato a Mallarmé, o fin dalla scorsa primavera la publicazione doll’inedito Igilur, hanno segnato gl’indici fondamentali di un cospicuo movimento per la rivalutazione di questo riconosciuto maestro del simbolismo e per la sua ihroronazione sul trono di sovrano dei «poeti puri». L’enigmatico autoro doll’/tpr^- midi d’un Faune ritorna a imporre il suo sguardo di sfinge sopra la marea dei discepoli che parevano essersi da lui, lentamente, emancipati nel coreo di un quarto di secolo. Cattivo segno: perchè il tecnicismo o il simbolismo di Mallarmé caratterizzarono lo sforzo massimo’fatto da un individuo per nascondere la povertà poetica della sua epoca e sur. Un nuovo fiotto di ispirazione viva riempì quei vuoti algoritmi e sotto la veste della loro elaborazione produsse la rinascita della poesia. Siamo ora vicini di nuovo all’esaurimento del fiotto? Invero, quando si parla di «poesia pura» o la si vuol distinguere e contrapporre alla poesia impure (secondo un motto spiritoso della contessa di Noailles), si rivela uno stato di inquietudine e di incertezza sulle sorti della poesia che è proprio di chi comincia a trovarsi fuori del regno della poesia stessa. Poeta fu Stefhane Mallarmé, e nobilissimo; ma la sua vena era scarsa cd eccessivamente soggetta a revisioni intellettuali. Pieno di uno squisito senso della fuggevolczza’di ogni attimo poetico, diresse tutte le sue energie allo scopo di fissare a se stesso c agli altri tutti gli clementi di contorno fra cui l’attinio era vibrato e poteva ancor vibrare: ma la rarità di tali attimi nello suo spirito di sottile ragionatore e di esteta’ terribilmente riflesso, e l’impossibilità di rappresentare e comunicare il loro contenuto ineffabile procedendo com’egli faceva per cerchi concentrici dalTcstemo all’interno, resero la poesia cosi generata una creatura marmorea c dei pugni austeramente scheletrica, anche quando si ammanta di tutte le porpurce sfumature di una carnaio sensibilità. E ogni sforzo autocritico di Mallarmé fu, in sostanza, diretto alla rifusiouo in pochi sonetti statuari di alcuni temi ricchi di mistero ma limitati nel loro insieme, corno fossero una cóstollaziono dentro i cui spazi immensi nia non infiniti egli doveva aggirarsi. I suoi discepoli riuscirono ad essere poobi, a faro della poesia, in quanto si assimilarono il contenuto fervore, il eoltilo scrupolo di cui vibrava lo spirito del maestro: non già in quanto attendessero ad imitare gli schemi.di cui egli si era compiaciuto o tormentato ad un tempo, nò in quanto restassero su quel terreno ch’egli aveva così falicosamento esplorato zolla per zolla. Ritornare ora a Mallarmé, ritornare alla «poesia pura», quando il vero Mallarmé non ò mai stato dimenticato nò la poesia vera è mai morta, non può avero altro significato cho questo: approfondiro e accentuerò i contórni o Iosfumature del criticismo poetico propugnato da Mallarmé. Ogni diverso senso cho si voglia imprimere a questo movimento sarà nè più nòmeno che un indice di povertà lirica nella letteratura francese contcmporanoa. Uno dei Verri. Le Edizioni del Baretti Ultimi volumi usciti: Mario Cromo: Cosiazzurra L. 6,— Giacomo Dbbknedetti: Amedeo e altri rucconti L. 9,— Natalino Sapegno: Frate Jacopone L. IO,— Opere edite ed inedite di PIGRO GOBETTI Sono usciti: I — RISORGIMENTO SENZA EROI. Lire 18. II - PARADOSSO DELLO SPIRITO RUSSO Lire 12. Sta per uscire: SCRITTI VARI D’ARTE, LETTERATURA, FILOSOFIA. Di imminente, pubblicazione: V. Cento: il viandante e la meta. Goethe: Fiabre, trad, di E. Sola Sono usciti ultinteniente: MARIO VINCIGUERRA Interpretazione del Petrarchismo L. 8. PILADE ORESTE Cronache di moralità provvisoria L. 10. LIBRI RACCOMANDATI CRITICA - FILOSOFIA A. D’Entreves’.i Hegel 7,60 E. Gianturco: Antologia dei Poeti Tedeschi I®»— C. Giardini: Antologia dei Poeti Cata. Inni P. Gobetti: La filosofia politica di V..Alfieri 6,— P. Gobetti: Paradosso dello spirito Russo 12,— P. Mi gnosi •. Eredità dell’Ottocento 6,— A. Monti: Scuola Classi:a e Vita Moderna 8,— E. Navarra: Iai rivoluzione francese c la cultura sicìliaiuz 6|— G. Prezzoli ni: Io credo 8,— G. SciORTiNO: L’epoca della critica 3,— N. Sapegno: Frate Jacopotie 10,— A. Tiloher: Lo spaccio del bestione. trionfante 5»— M. Vinciguerra: Un quinto di secolo (1900-1925) 5,— ROMANZI - FINZIONE A. Amante: Sara Lilas - Romanzo di Montmartre 10,— A. G. Caona: 1 provinciali 12,— — Alpinisti Ciabattoni 8,— — La rivincita dell’amore 12,— V. Cento: lo e Me - Alla ricerca di Cri. sto (2.a odiz.) 6,— G. Dehknedetti: Amedeo e altri racconti 9,— T. Fiore: Eroe svegliato asceta perfetto 4,— — Uccidi 10,— R. Franchi: La Maschera 5,— M. Gromo: Costazzurra 6,— R. Jesurum: Il devo di Lucifero 4,— P. Solari: La Piccioncino 8,— Direttore Responsabile Piero Zanetti Tipografia Sociale - Pinorolo 19l