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Note sul teatro romeno La Romania, scolta avanzata della latinità in Oriente, dopo secoli di incertezza, fedele ai suoi legami intellettuali c morali, nel corso di un secolo ora si è posta in piena luce di civiltà.

Le malie dell’Oriente non ebbero presa in terra romena c ai Romeni piace tuttora di considerare l’imperatore Traiano come il loro fondatore. I legami con Roma potrebbero essere fatti risalire anche più oltre, all’epoca in cui gli antichi re della Dacia avevano stipulato trattati che per loro significano priorità di civiltà sui vicini. Ma sarebbe difficile dire (piale poteva essere il destino della Dacia se Traiano non fosse intervenuto nel 102 d. C. soffocando le pretese di chi si sforzava di neutralizzare l’influenza romana e di stabilire i fondamenti di un impero dacico; impero clic sarebbe divenuto una minaccia per le provinole romane al sud del Danubio e ancor più per le tribù dacichc già coscienti che la più sicura possibilità di prosperare era posta nella protezione romana.

La letteratura romena si sviluppò con caratteri etnici particolari e (piando ricorse a modelli stranieri, più clic àU’Oriente, ricordò l’antica parentela latina.

Le vecchie praterie, ora bionde di spichc, i boschi di abeti, di ontani, di sicomori, ingemmati di sorbi, furono agevole culla di innumerabili leggende a cui si rifecero i primi letterati romeni: poesia pervasa di impeti eroici e di malinconia, d’ineffabili sottili sensazioni di cui è prodiga la natura in tali incantevoli contrade: priva di preziosità, in contrasto con l’arti orientali, limpida c sincera interprete di passioni e di impressioni.

Non sono molti anni che gli scrittori romeni s’indugiavano ancora a rimpiangere la antica vita patriarcale distrutta dalle esigenze dello stato moderno. Oggi la Romania letteraria scende in lizza anch’cssa per le nuove forme c i nuovi valori.

Il teatro in Romenia sorse tardi, circa cento anni fa I due principati di Moldavia e di Valacchia erano ancora separati e le condizioni del paese incerte c disagevoli. Il teatro in quell’epoca non ebbe voce propria: si appoggiò alle traduzioni del repertorio classico, poi, per opera specialmente del Campincanu, a traduzioni e riduzioni del repertorio francese cd anche, limitatamente, di queljo italiano.

Tentativi poco aderenti allo spirito romeno, destinati a passare fra l’indifferenza.

Nel 1831 una compagnia d’opera italiana, giunta a Jassi, allora capitale del principato di Moldavia, recitò una produzione intitolata Stefano il grande a Neamtzu ispirata alla storia nazionale romena: il successo fu pei ’a prima volta schiettamente entusiastico. La opera, che non aveva grandi pregi, fu presso dimenticata, ma con la sua esaltazione dei valori nazionali, indicò la via per appassionare il pubblico, e per essa si misero i primi autori drammatici romeni. I nuovi tentativi furono numerosi: uno fra i molti, la Matilde di Cesare Holiac rappresentata nel 1S36 ebbe particolare successo.

Nel 1S40 Basilio Alcxandri, una delle figure più rappresentative, non solo della letteratura, ma anche della storia del Risorgimento Romeno, incaricato, col Kogaln’ccaun e col Negruzzi, ancor noto come novelliere, di dirigere il teatro di Jassi, vi fece rappresentare una sua produzione intitolata Re Giorgio di Sadagoura, dove gli insegnamenti della recita del 31 erano applicati c sviluppati.

In Re Giorgio la situazione miserrima del popolo agitantesi fra boiardi c contadini, ebrei c cristiani, tiranni e tiranneggiati, si riflette in uno specchio feroce. Ognuno riconobbe gli avversari nei personaggi fustigati dall’Autore e applaudì la diatriba.

Postosi sulla via della verità, l’Alexandri la seguì non ostante gli ostacoli della censura.

Jassi in carnevale dove l’autore aveva tradotto, in scene piacevoli c grottesche, le ombrose ansietà della polizia allora sempre timorosa di cospirazioni, scatenò la collera del governo, ma la commedia potè essere rappresentata.

La soglia della casa, Le nozze villereccie ottennero altrettanto successo c scandalo.

Mandato in esilio in seguito alla rivoluzione di Jassi, l’Alexandri ritornò in patria nel 1850 alla caduta di Michele Stourdza e riprese dalla capitale moldava la sua attività artistico-politica.

In tre produzioni consecutive creò un tipo di ridicola borghese arricchita, una specie di Madame Angot moldo-valacca, La signorina Cliiritza, che rimase proverbiale in Romania. E del tipo dell’usuraio ebreo, allora tanto aspro in Romania come in Russia e m Polonia, si ebbe un quadro impressionante nelle Sanguisughe del villaggio. I/avaro prodigo narra di un padre avaro per amore paterno, di un figlio vizioso c ingrato, e del conseguente trapasso ilei padre dall’avarizia alla prodigalità, sino a non risparmiare, giunto alla fine dei suoi giorni, l’ullinto ducato. Teatro di facile successo, scritto per il popolo, c sempre, tanto quando combatte la lotta politica, come quando si raccoglie a sostenere tesi morali, improntato a propositi educativi.

Dopo la riunione delle due provineie sotto il principe Couza, l’Alexandri assurse alle più alte cariche politiche, ma non abbandonò il suo teatro e in genere la letteratura del suo paese.

Sulle orme dcll’Alcxandri si posero il Millo, che fu pure attore e uno dei maggiori interpreti dei lavori del maestro, l’Hasdcu col Rasvan e Vidra, l’Urechia e molti altri, ma l’opera loro fu soltanto d.i ulteriore preparazione c troppo spesso soggetta unicamente ad intenti politici. Se all’Alexandri spetta l’onore di aver fondato un teatro nazionale in Romania, questo teatro raggiunse la sua prima vera gloria soltanto con Giovanni Luca Carngiale.

Mentre il paese era in pieno tormento, Jon Luca Caragiale dal banco di una birreria del centro di Bucarest prestava orecchio alle dubbie espansioni della gente clic vi veniva a commentare le alterne vicende nazionali; la stessa gente che era sfilata per la Calca Vretorici • maggior corso di Bucarest - vociando contro il governo, non appena esso si era consolidato, si prosternava in adorazione. Spettacolo no»! nuovo, ma sempre buffo e pietoso. Il Caragiale se ne interessava molto e il banco del suo spaccio di birra diveniva la cattedra della sua ironia.

Era nato nel 1853 da una famiglia di attori, e aveva passato i primi anni della gioventù fra le scene. La vita nomade da un paese all’altro della sua terra gli aveva impedito di seguire un corso regolare eli studi, ma già da bimbo una naturale tendenza all’arte.

lo aveva appassionato alla lettura e gli aveva foggiato l’anima generosa che lo resse durante tutta la vita, in alternative di felicità e di sconforto, di agiatezza c di povertà.

Negli anni in cui peregrinò al seguito dellp compagnie randagie, il giovane Caragiale si era assunto il compito del suggeritore. Raramente c senza entusiasmo affrontò le luci della ribalta: preferiva rimanersene nascosto c isolato a valutare da solo le commedie e i drammi che venivano recitati. Presto mandò alle scene i suoi primi saggi e il buon esito non lo guastò: diede, sempre gioioso e bonario, numerose produzioni con la stessa superba prodigalità con la quale disperdeva i provvidenziali guadagni. Salito in fama ebbe la direzione di varie rivisto letterarie e anche di alcuni teatri. Uomo di parte passò gli ultimi anni nella Transilvania lottando con la penna c con la parola per i fratelli di sangue oppressi dal giogo straniero. Morì a Berlino nel IQ12.

Ironista sottile, il Caragiale nelle sue commedie tracciò un quadro più brioso che amaro della crisi sociale e psicologica del suo paese e con una gioiosa mordacità strinse tutto c tutti nelle sue reti: smascherò ipocrisie, scalzò menzogne, svelò semplicionerie, ma senza piglio oratorio, con il tono dello scettico che crede poco al miglioramento sociale. La lettera perduta e Scene di carnevale sono capolavori del genere. Ma queste c altre numerose commedie del nostro autore hanno carattere del tutto regionale e non troverebbero comprensione in altri paesi. Il Caragiale le scriveva per polemizzare con i suoi conterranei c la polemica si frantumava in osservazioni minute, in particolari da cronistoria, preziosi per un romeno, insignificanti per noi.

Egli toccò più alte vette e varcò i confini della patria abbandonata, la polemica ch’era fine a sè stessa, diede vita alle creature della sua fantasia. Nelle commedie aveva introdotti sotto veri o falsi nomi, gli uomini del suo paese c del suo tempo: nelle novefle e nel dramma invece creò nuove figure con tanta insistente e vigorosa’ penetrazione che l’opera non ci interessa soltanto per la veste esotica ma sopratutto per la sua profonda e spasimante umanità, per l’universalità raggiunta senza apparente fatica.

Le novelle sono in gran parte di soggetto rusticano. I seguaci dell’Eminescu, imbevuto di. pessimismo, avevano dato alla letteratura un senso di soffocazione. Quasi per reazione i novellieri erano corsi in piena natura, e sotto il sole della aperta campagna c le ombre dei boschi avevan fatto fiorire idilli e esplodere drdmnii rusticani. Il contadino è un buon soggetto per le passioni elementari c di clcmentarismo si aveva bisogno dopo le complicazioni dei romantici e le involuzioni dcll’Eminescu.

Ma la nuova corrente che credeva di aver trovato senz’altro la buona via, fu facile a confondere la maniera con la semplicità, l’accademismo con la verità. Jon Luca Caragiale si salvò dai nuovi difetti. Scese a contatto con la vita del contadino e la descrisse con salutare realismo, interessandosi alla vita come essa è, e cogliendone i momenti più significativi.

Scrutatore acuto dell’anima umana, indirizzò tutte le note di realtà a culminare c sublimarsi in essa. Segnò un’orma incancellabile nellu letteratura romena. Le sue novelle furono tradotte in tutte le maggiori lingue europee, compresa la nostra.

Scrisse un solo dramma: Napasta. tradotto anche in italiano col titolo ì.o scempio. Il suo successo data dal 1890 c si mantiene vivo ancor oggi, ne! Teatro Nazionale di Bucarest dove è compreso nel repertorio permanente, e in tutti gli altri della Romania.

Fu paragonato alla Potenza delle tenebre Fra l’immane drammaticità dell’opera del Tolstoi c la contenuta disperazione di NaPusta c’è qualche analogia, ma anche la differenza che passa fra lo spirito tormentato di uno slavo e più particolarmente di un russo, e lo spirito più pacato di un latino. Napasta non si afferra a quella suggestione dell’ignoto ch’è tanta parte della Potenza delle Tenebre: tiene fede all’energia individuale dclPuomo e ai suoi sforzi per lottare contro il giogo delle nvversità.

Il torvo dramma rusticano del Caragiale è un dramma di coscienze che si sviluppa in tutta la sua terribilità, c corre al suo fine, in uno spasimo solo, con le sole figure essenziali.

In esso vi sarebbero gli estremi del drammone da arena, ma la materia è dominata dalla vigilanza artistica dell’autore. Il Caragiale usò i mezzi che giungono primi allo scopo, intonò l’opera in tono maggiore e in tono maggiore la mantenne senza esitanze, senza soste, dandole un valore di stabilità, in cui ogni elemento forte rientra c s’inquadra.

Scure, coltello, sangue, campane, arnesi da far inorridire un autore moderno, vengono qui in piena luce c composti in tragica unità.

Dramma di ben trcntasci anni fa. vecchio nella sostanza c nella forma, ma ancora vivo e vigoroso. A differenza degli altri generi letterari, il teatro in Romania, stenta a districarsi dagli schemi del passato. Gino Cori afferma che u la Romania può aver avanzato in quei generi letterari che si rivolgono sopratutto alle classi e alle persone colte; o se non altro, alla osservazione c alla pacata riflessione, ma è rimasta sostanzialmente statica nel campo teatrale». Soltanto un autore, geniale, come dopo il Caragiale la Romania non ebbe, sarebbe forse riuscito n far apprezzare nuove forme.

Dopo il Caragiale imperò in modo quasi assoluto il dramma psicologico borghese di stampo francese: periodo di rifacimenti c imitazioni, poco significativo.

I rapporti con la Francia sono ancor oggi strettissimi anche perchè le maggiori attrici del Teatro Nazionale di Bucarest, come Maria Venturi, la Voiculescu, Ely ira Popcscu, appartengono pure alla Comedie Franaisc c ad altri teatri parigini.

La produzione teatrale di questi ultimi anni, spesso ardimentosa, pur vantando qualche saggio di non comune interesse, rimane nel campo delle ricerche e delle promesse.

Scarlat Froda, Igcna Floru, Adrian Maniu, Camillo Pct reseli cercarono di accostarsi con vari, ma non molto significativi risultati a una foite ccttentc di poesia sintetica. Ossip Dymov si mise sulla stessa via, tua, pur volendo sorpassarli, il suo Nyu, dove la uvunierr comune è ancor tutta viva, non s’clcva dalle mediocrità. Victor Eftimiu, più ardito che originale, creò il dramma espressionista romeno e fu efficace in Don Giovanni c specialmente in Prometeo e II Gallo Nero. Il Popa con la Cerva rivelò un ingegno fervido ma non sempre realizzatore. Il Minulcscu più lirico che commediografo, è un simbolista di valore.

Per concludere, al presente instabile, che pur seguiamo con simpatia, preferiamo per ora il passato, anche se remoto, perchè poggiato su basi assai più salde. A nostro avviso però, sarebbe inesatto o prematuro parlare in senso assoluto di affermazioni del teatro romeno, ina altrettanto errato sarebbe trascurarne il valore nel novero delle forze drammatiche europee.

Rkto Rokdhl.

Ritorno alla Cultura Del problema della cultura si è detto forse poco in Italia, o almeno incompletamente.

Non che non si sia detto e scritto sulla mancanza dell’istruzione nel popolo, vuoi analfabetismo vuoi non-interessamento alle cose dell’intelletto, ma si è riguardata la cosa da un punto di vista troppo facile c, dirci, di politica amministrativa, riferendosi all’elevamento delle classi basse o, ammettiamo pure, delle classi di media cultura. Ma la questione della istruzione o cultura degli studiosi non si è toccata ancora: cioè non si è parlato ancora di cultura vasta e profonda per gli specialisti della cultura medesima: non si è detto ancora clic un matematico od un clinico sarebbero migliori se sapessero di Dante e di Leopardi, c che un cultore di scienze economiche dovrebbe anche conoscer la tomistica o, purchessia, Kant o Hegel.

Il concetto andato sin ora per la maggiore è questo: allorché uno studioso di determinata disciplina la coltiva anche con risultati non gli si chieda altro, se sa di geografia di lettere di scienze insieme. S’intende che con l’opposizione a questo principio non si vuole cancellare per lo studioso la specializzazione, cacciandogli a forza in capo una cultura di tipo leonardesco: ammesso anche clic così fosse l’ideale, non a questo si pretende poiché potrebbe il troppo di estraneo far deviare l’attenzione dalla disciplina abbracciata; dovrebbe bastare che lo studioso si tenesse al corrente ilei movimenti fuor di casa sua, compiacendosi degli estranei magari col segreto intento di assimilare tutto a maggiore edificazione della sua professione e dei suoi studi speciali.

Certo che se oggi ci si lamenta che il popolo, anche degli agiati, si disinteressa delle pubblicazioni, degli avvenimenti della cultura, c solo pensa a sbarcare il lunario, a divertirsi o a far denari, c’è pure da rilevare il fatto che proprio codesti fabbricatori della cultura, che trovano ghiaccio nel pubblico, a loro volta hanno sulle spalle il peccato di vivere tra di loro come in mondi disparati, mostrando ciascuno ripugnanza del genere di cultura dell’altro, disinteressandosi sempre lo scienziato «Iella letteratura cd il letterato della scienza.

Mentre in Francia, ad esempio, la grande cultura c la grande letteratura sono tutte conteste di nessi sottilissimi tra le più varie attività, tra i più divergenti interessi dello spirito.

La mancanza di queste relazioni è, in Italia, proprio il difetto del nostro tempo che ci ha regalato il frammentismo dalla poesia alla cultura, dalla vita alle concezioni. Per cui si pensa con un pensiero lucido, striato, specializzato, puro, a schemi, n ruoto. E il caso più tipico è forse quello di Baldini che ci dichiara apertali’.ente d’infischiarsi di tutto ciò che non è letteratura.

Eppure l’affermazione non è poi da risolversi co l alla lesta poiché veramente il letterato deve bene, se non lavora sul vuoto, avere una materia; piateric le più disparate anzi sono traducibili in bella letteratura c di qualcosa s’hn da trattare chè anche per l’interpretazione della vita più piccola e quotidiana ci vuole sempre (pici po’ di lume che la ragione, le conoscenze, la volontà, in una parola la cultura, ci posson fornire.

Io non vorrei però che da questo mio dire qualcuno giocasse sul filo di rasoio della cultura dei letterati e ne cavasse l’argomentazione clic, per essere, la letteratura debba contornarsi di storia, di scienza e d’erudizione, che I’apprczzameillo letterario debba tenere nel doveroso conto detti clementi, e clic insomnia si torni indietro nella storia del gustoestetico c si annulli quindi la lezione del Croce.

Croce anzi ci dà il buon esempio, egli ch’è un* uomo di grandissima cultura e di vaste conoscenze nella minuta erudizione (e uc dà prova in quelle sue riesumazioni del mondo napoletano degli scorsi secoli, c si compiace della citazione rara c molto della notizia aneddotica), senza che questo gl’iinpedisea di conservare integro lo spirito della sua critica letteraria che va diritta alla scoperta del bello.

L’ultima generazione letteraria non ha tenuto conto di questo insegnamento implicito del Maestro, illudendosi che la personalità del Croce si dovesse compendiare in quelle formule — rispettabilissime, e ne diamo pienoriconoscimento, — che non sono che una parte di essa personalità: com’era facile, si è potuto dimenticare l’uomo c il suo metodo di studio facendo nascere da questa scappata da spensierati quella creatura che adesso dovendo farsi grande non può resistere a nuovi anni perchè costituzionalmente deficiente cd 6 per tirare le cuoia: parlo della letteratura pura. D’accordoche l’arte non è altro che arte, e che essa crea le sue oi»erc anche dal nulla: ma i letterati, ahimè, non sono tutti artisti, bensì semplicemente — e in maggioranza — scrittori.

Se i letterati penseranno di por mano al problema e si vorranno giovare delle più varie esperienze che la vita suole in diverso iqodoconcedere, credo che ne potrà uscire una letteratura più robusta, che potrà interessarsi più da vicino delle cose del secolo e darà luogo alla poesia, che senza una vigorosa espansione di vita non nasce, c incidentalmente sarà avvicinabile dalle classi che oggi vivono così lontane da noi.

La cultura per lo scrittore, letterato che sia, va considerata da un punto di vista proprio, creativo, non come fine a se stessa ma come lievito nel pane dell’esperienza individuale.

Oggi si richiamano i letterati ad una maggiore aderenza col mondo, che è pur sempre popolato di «cristiani» geneticamente tignali, acciocché per cantare poesia si sia pagato il proprio tributo d’umanità. Vogliamoscntirc di nuovo i letterati che ci parlino di che cosa giovi a fecondar le biade e dell’arte di costruire i ponti e delle cose di Francia e di quelle d’Allcmagna, non, si badi bene, per deporre la penna c innalzare la fiaccola della::eiciiza ma per esser compiutamente uomini, umanisticamente uomini, consapevoli e dotti, Sandro Zirardini.

Le Edizioni del Baretii E’ uscito:

FRATE JACOPONE di NATALINO SAPEGNO L. IO Breve, esauriente monografia sulla singolari figura del beato tudertino. Non b un’apologià, nò una demolizione: ma una ricostruzione, fondata su basi rigorosamento storiche, dell’uomo c del poeta. La figura di Jacopone viene delimitata nello sfondo del suo tempo, con una precisione e compiutezza ignote ai critici che hanno preceduto il Sapegno, il quale anche por non comuni doti di scrittore si rivela critico di razza. Suggestivi sono gli accostamenti tra la lirica religiosa del frate, 0 la lirica amorosa contemporanea:

i lettori Moveranno in questo volume una nuova valutazione della letteratura nostra del duecento finora pascolo di eruditi c di esteti.

Si spediscono franchi di -porto contro vaglia.

Direttore Responsabile Piero Zanetti Tipografia Sociale - Pinerolo 1926