Pagina:Il Canzoniere di Matteo Bandello.djvu/10

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Introduzione 9

gli suona cara all’orecchio e all’animo, di vivere «a sè e alle Muse»! E a Giovan Battista Oddo da Matelica, cui offre una novella, augura «quell’ozio che le Muse vorrebbero»; gli consiglia il «rumores fuge» oraziano; gli rammenta che il poeta «ama la solitaria vita e il diportarsi per gli opachi e fronzuti boschi, e volentieri fugge la pratica e il commercio de le città» (III-3). Egli stesso, per citare un esempio fra mille, si ripromette di «asciugar tutto il fonte d’Elicona» in lode di monsignor Paolo marchese del Carretto «vescovo e conte di Caors», il giorno in cui vedrà «le sue chiome coperte di vermiglio cappello» (II-27). Vero è che nella lettera di dedica delle rime, che qui si ripubblicano, rivolta a Madama Margherita di Francia, chiama queste sue «ciance» canore, non altrimenti di quanto fa il Petrarca, che, parlando delle proprie rime volgari le designa con ostentazione «nugae, nugellae». Anche il Bandello qua e là nei suoi versi ripetutamente denomina le sue «basse e mal limate carte» (canz. LXII), dichiarandosi «senza stile e senza ingegno» (son. XVI), impari quindi al grande compito che — afferma enfaticamente — pur sarebbe grave agli omeri dei più famosi poeti antichi e moderni — di celebrare:

Quella che sola al mondo è vera Donna.          

(son. XI).

Ma la troppa umiltà di tali proteste, non c’induca in errore. È semplice artificio retorico. Egli nutre in segreto la speranza di poter fornire della sua valentia,


    gosa, che mi dà il modo di vivere a me stesso e a le Muse» (III-26); «Voi potrete mo’ — consiglia a Giov. Battista Oddo da Matelica — a le Muse e a voi stesso vivere» (III-3).