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e talora la grande pàura. I suoi confortati gì* inanimava a prodezza, e tutte cose brigava molto sollecitamente. Aderbale, poiché conobbe che tutte sue venture erano in sullo stremo, il nimico contrastante), speranza niuna d’ajutorio, e che per la pochezza delle cose necessarie la battaglia non si potea prolungare; elesse due di coloro, ch’erano fuggiti insieme con lui a Cirta, i quali erano massimamente non pigri, ma veloci e solleciti; e, promettendo loro molte cose, e anche cordogliando il caso suo, gli confermò in ciò, ch’eglino dovessono andare per entro l’oste di notte al prossimano mare, e poi a Roma. I due Numidi in pochi di compierono i suoi comandamenti. Le lettere d’Aderbale furono recitate in senato: la sentenza delle quali fu questa:

CAPITOLO XVIII.

Lettere d’Aderbale al senato.

Non è per mfa colpa che spessamente mando a voi pregare, Padri conscrilti; ma lo sforzamento di Giugurta mi costrigne e sottomette: il quale, tanta è la voglia che gli é venuta d’uccider me, che nè voi nè Dio abbia in animo, e’I mio sangue sopra tutte cose desideri. Sicché già è il quinto mese che io, compagno e amico del popolo di Roma, per arme sono tenuto assediato, e a me nè li beneficii di Micipsa mio padre nè li vostri ordinamenti giovano niente. Se per arme o per fame io sono più duramente costretto,noi vi saprei ben dire. Scrivere più cose di Giugurta mi sconforta la mia condizione, e io già d’innanzi ho provato che poco è dato fede agli miseri. Ma questo tanto m’avveggio io1: che egli va chieggendo ancora più che me, e che non spera di potere avere insieme Tamistà vostra e il regno mio; e, se egli pensa ancora a più gravi cose fare, a niuno è dubbio. Egli al principio uccise Jemsale mio fratello; poi del paternale regno mi cacciò: le quali cose ponendo che sieno state nostre ingiurie, e niente s’appartenga a voi2; pertanto ora tiene il reame3a forza, e me, il quale voi poneste signore de’Numidi, tiene chiuso per assedio. Le parole de’vostri ambasciadori quanto egli le apprezzò, li miei pericoli il dichiarano. Dunque che rimane altro se non la forza vostra, acciocché egli si possa smuovere? ch’io vorrei certamente che queste cose, ch’io vi scrivo, e quelle, ch’io iunanzi nel senato lamentai4 fossono

  1. ma questo tanto av veggio io) Primamente si noti che tanto qui sta per solo, solamente; appresso vogliamo che si ponga mente a questo partirolar costrutto con cui è usato il ver* bo ravvedere, il qual si vede reggere il quarto caso; ed è anche così notato nel Vocabolario con due esempii: ma a noi pare che oggi non sia da adoperare a questo modo.
  2. e niente s’appartenga a voi) Il niente qui par che stia in iscambio di niuna parte di quelle cose, e perciò l’autore l’ha congiunto col verbo al singolare: costruzione da non imitare.
  3. 11 lat. ha regnum vestrum.
  4. quelle cK io innanzi nel senato lamentai) Lamentare si usa in forma neutra, neutra passiva, ed attiva; e quando è usalo in forma attiva, come in questo luogo, allora significa compiangere. deplorare.