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breve anche il flagello di una nuova guerra per l'invasione di altre orde di barbari, se non invitati, certo adescati dagli stessi Greci.

Avevano questi per sostenersi contro dei Goti implorato il soccorso dei Longobardi, i quali dal Settentrione di Europa erano già venuti da non molto a pigliar stanza in Pannonia e poco dopo appresso nel Norico, ai confini stessi d'Italia. Narra Paolo Diacono nella sua storia dei Longobardi (II, 1), che Alboino loro re spedì in aiuto di Narsete un corpo scelto dei suoi. È vero che questi dopo la disfatta di Totila si ritirarono alle proprie sedi: ma la via d'Italia era già stata appresa, nè tardarono guari a ricalcarla.

Alboino persuaso ormai dalle avute relazioni, che la conquista della nostra penisola gli sarebbe stata impresa assai facile, indusse altresì agevolmente nella medesima persuasione anche i suoi, e con essi ancora altre barbare nazioni ad esso confederate o soggette. Stabilì dunque di scendere con queste in Italia traendo seco le intere loro famiglie. Era un immenso stuolo di Gepidi, di Bulgari, di Sarmati, si Sassoni, di Svevi, di Norici ed altrettanti, che nella primavera dell'anno 568 si appressava ai confini d'Italia, e trovandoli al tutto sguerniti di truppe li varcava impadronendosi di leggieri del Friuli e di buona parte della Venezia, non incontrando resistenza che solo in Padova ed in Monselice, capaci di arrestarne per qualche tempo la marcia. L'anno appresso però, lasciate a parte queste città, progredirono i barbari l'intrapreso cammino, assoggettandosi l'una dopo l'altra le città di Trento, di Brescia, di Bergamo e di Milano. Era stata quest'ultima di fresco (567) ristorata da Narsete insieme con altre già distrutte dai Goti1,

  1. La cosa è narrata da Mario Aventicense nella sua Cronaca all'anno indicato 567. Hoc anno, scrive, Narses ... post Mediolanum vel reliquas civitates, quas Gothi destruxerant, laudabiliter reparatas, de ipsa Italia a supra seripto Augusto (era questi Giustino) remotus est. Osserva il Marchese Giuseppe Rovelli nella sua Storia di Como, Milano, 1789 (P. 1. p. 317), su questo luogo di Mario, che non fu avvertito dal Verri, essere esagerata l'opinione di questo scrittore, nel voler ritardato il risorgimento di Milano di ben cinque secoli; nè punto essere contraria