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nemiche i luoghi privi di ogni difesa e le aperte campagne. Ciò è manifesto dalle narrazioni che di questa spedizione ci lasciarono i due storici summentovati, dai quali non apparisce che i Longobardi, se si eccettuino le scaramuccie presso la Tresa, sieno mai venuti a battaglia coi Franchi. È però a dire ch'essi non istettero, benchè rinchiusi nelle fortezze, colle mani alla cintola in così fiero frangente.

Dalle lettere pubblicate dal Ducange e allegate dal Muratori1 di re Childeberto e di Maurizio Imperatore e di altri si ha che i Longobardi da parte loro tentarono di guadagnare i duchi de'Franchi con ricchi doni, e questo spiega, come in onta ai guadagni ottenuti dalle forze Imperiali soprattutto nella Venezia, nulla si sia potuto da essi conseguire per l'inazione de'Franchi, pei quali, se si fossero messi d'accordo, il crollo della potenza longobarda in Italia sarebbe stato deciso.

Nè solo coi duchi trattò Autari, ma destramente seppe anche interporre presso re Childeberto la mediazione di Guntranno re della Borgogna, zio di quello e che godeva di una grande influenza sul di lui animo. A questo dunque spedì Autari dei legati, che furono benignamente accolti e da Guntranno stesso rimessi con sua commendatizia a Childeberto. Mentre questi stavano attendendo una risposta, altri messi sopraggiunsero mandati da Teodelinda moglie di Autari colla notizia che questo era morto. Childeberto, che in questo medesimo tempo aveva già saputo l'esito di una parte del proprio esercito, non volendo allora nulla decidere, diede loro buone parole e li congedò. Ma l'anno appresso (591), essendo stato Agilulfo duca di Torino, scelto in isposo da Teodelinda, riconosciuto re dai magnati dei Longobardi, Childeberto con-

  1. Vedi l. c. p. 384, dove è citato il Du Cange, Scriptores rarum Francorum T. f. Si ha da una di queste lettere scritta dall'Imp. Maurizio a re Childeberto, che Autari venne a trattative di pace con uno dei duchi Franchi per nome Cheno. Non è improbabile, che questo sia il medesimo che abbiamo veduto chiamarsi Cedino (o Chedino, secondo che leggono altri) da Gregorio e da Paolo. Abbiamo poi da queste lettere una nuova prova della misera storia, che ci lasciarono questi scrittori.