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Chiesa di S. Siro di Canobio, che ivi espressamente è nominata, come ne attesta lo stesso Giulini (P. V, pag. 475), il quale tutto al nostro proposito soggiunge: «Qui a mio credere non si tratta di Canobio sul Lago Maggiore, ma di una terra di simil nome vicino a Campione.» Pertanto se è sempre il medesimo monastero di Milano il possessore di questi beni in amendue questi luoghi, ogni ragion vuole, che nelle carte, nelle quali vengono ricordati, si deva intenderli sempre esistenti nel medesimo luogo e non nell'una attribuirsi al Canobio sul Lago Maggiore e nell'altra al Canobio presso quello di Lugano. Fu dunque la confusione, che di questi due luoghi si fece, la precipua cagione, per cui il nostro Canobio fu ascritto colla sua Pieve in antico al contado di Seprio; confusione che indusse poscia il Giulini a dubitare di se stesso, e a dichiarare di non saper comprendere come quel Canobio, ch'egli un tempo aveva inchiuso nella giurisdizione di Seprio, fosse poi passato a formar parte del contado di Stazona.

Ma la cosa riuscirà ancor più manifesta se si consideri il modo diverso, col quale è indicato il Canobio posto sul Lago Maggiore. Già abbiamo veduto di sopra che un certo conte Sansone per testimonianza della Cronaca della Novalesa possedeva in questo luogo una corte o curia, ch'egli donò all'abazia di S. Pietro di Breme1: detulit curiam unam, qua servatur MOS REGIUS, nomine Cannobius, con quel che segue (alla pag. 28 nota 1). Da queste parole, mos regius, se non erro, mi par si possa argomentare della condizione primitiva di Canobio, che dovette essere patrimonio regio, e come tale passato

  1. A maggior intelligenza di questi fatti noterò, che al principio dell'XI secolo i monaci della Novalesa essendo stati dispersi furono da Adelberto I marchese d'Ivrea qualche anno dopo il 906 nuovamente riuniti e raccolti nel monastero di S. Pietro di Breme (Bremetum) posto nella Lomellina, come ne attesta il Durando nella sua opera: della Marca d'Ivrea, Torino, 1804, pag. 91. In questo monastero poi il Conte Sansone, cir, come scrive la Cronaca citata, praectarus cictate, illustris prosapiae antiquae gentis, vestì l'abito monacale, e pose fine santamente alla propria vita nella prima metà del X secolo.