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284 emilio salgari

— Che quella nave, per sfuggire alle cannonate dell’inglese si sia gettata addosso a quelle scogliere, arenandosi? È così, Tremal-Naik?

— Sì.

— E temo che tu abbia indovinato.

— E l’equipaggio? Non si vede nessuno...

— E nessuno risponde — disse Sandokan che si era accostato, mentre tre razzi lanciati da Kammamuri e da Sambigliong si spegnevano dopo di aver sparso in aria un nembo di scintille multicolori.

— Allora gli Inglesi hanno fatto prigioniero l’equipaggio — disse Tremal-Naik.

— E noi andremo a liberarli, dovessi inseguire quella nave fino entro il Sedang — dichiarò la Tigre. — Fa’ calare in acqua una scialuppa, Yanez, e andiamo a vedere se si tratta veramente della Marianna.

L’incrociatore aveva rallentata la marcia, sempre per tema di trovarsi improvvisamente dinanzi a dei bassifondi. Gli scandagli avevano già dato solamente dodici metri e pareva che il fondo si elevasse rapidamente.

La gran barca a vapore fu calata e Sandokan, Yanez e Tremal-Naik, con venti malesi armati, vi entrarono, dirigendosi verso la scogliera.

Il Re del Mare aveva virato di bordo tornando un po’ al largo, essendo l’ondata piuttosto forte.

La scogliera non distava che cinque o seicento metri. Era una lunga fila di rocce, di colore molto scuro, tagliate a mo’ di sega, coi fianchi sventrati e corrosi dall’eterna azione delle onde.

La nave si era arenata verso la punta settentrionale e nell’urto, che doveva essere stato violentissimo, si era piegata su un fianco, appoggiandosi con le bancazze ad una roccia elevata quanto l’alberatura.

Temendo una sorpresa, Sandokan comandò a dieci uomini di armare i fucili, poi spinse la scialuppa contro una caletta formata da una cintura di scogli, dove l’acqua era tranquilla.

Lasciati sei marinai a guardia dell’imbarcazione, con gli altri raggiunse la nave.

— La Marianna! — gridò ad un tratto, con accento di dolore.

Il disgraziato veliero, o in causa d’una falsa manovra, o spintovi appositamente, si era sventrato sulle punte delle scogliere in così malo modo, da ritenerlo per sempre perduto.