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il re del mare 55

— Sì, signore. Pare che il «pellegrino» abbia avuto qualche motivo di dolersi delle Tigri di Mompracem.

— Anche di noi! — esclamò Yanez, che cadeva di sorpresa in sorpresa. — Chi può essere costui? Noi non abbiamo mai avuto a che fare con dei fanatici mussulmani.

— Non so cosa dirvi, signore.

— Se è vero quello che ci hai narrato, quel miserabile ci insidierà dovunque.

— Non vi lascerà tranquilli, badate a me, e farà di tutto per massacrarvi dal primo all’ultimo — disse il pilota. — Io so che ha fatto giurare ai capi dayachi di non risparmiarvi.

— E noi faremo tutto il possibile per ucciderne più che potremo, è vero, Tangusa?

— Sì, signor Yanez — rispose il meticcio.

— Padada — disse il portoghese, — sai tu che la fattoria di Pangutaran sia già assediata?

— Non lo credo, signore, avendo il «pellegrino» radunate quasi tutte le sue forze per schiacciare prima voi.

— Dunque, la via che va dall’embarcadero al kampong di Tremal-Noik può essere libera.

— O almeno poco guardata.

— Quanto ti ha fatto avere il «pellegrino» perchè tu mandassi la mia nave sui banchi di sabbia e me la incendiassi?

— Cinquanta fiorini e due carabine.

— Io te ne darò duecento se tu mi guidi al kampong.

— Accetto, signore — rispose il malese; — e avrei accettato anche senza alcun compenso, dovendovi la vita.

— Siamo ancora lontani dall’embarcadero?

— Fra un paio d’ore vi giungeremo, è vero? — disse Tangusa guardando il malese.

— Fors’anche prima.

Yanez sciolse le corde che stringevano le mani del prigioniero e uscì, dicendo:

— Saliamo in coperta.

Sul fiume regnava ancora una gran calma e le acque si svolgevano tranquille, fra due rive coperte di superbe felci arborescenti, di belle piante di cycas, di pandani, di casuarine e di palme, che spiegavano a ventaglio le loro gigantesche foglie piumate.

Fra i rotang che cadevano in festoni lungo i tronchi degli alberi, vi erano delle siamang, quelle orride scimmie nere che hanno la fronte bassissima, gli occhi infossati, la bocca enorme, il naso