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il re del mare 59

mense foglie, incrociantisi strettamente a trenta o quaranta metri dal suolo.

— Si direbbe che minacci un uragano — disse Yanez che respirava con grande fatica.

— E scoppierà presto, signore — rispose il meticcio. — Ho veduto il sole tramontare fra una nuvola nerastra e giungeremo appena a tempo al kampong.

— Se nessuno ci arresterà.

— Finora, signore, i dayachi non si sono mostrati.

— Purchè non li troviamo presso il kampong. Speriamo che abbiano levato l’assedio.

— Non saranno tanti da opporre una seria resistenza, almeno per il momento. Quelli che ci hanno aspettati alla foce del fiume forse non sono ancora tornati.

— Se tardassero solo ventiquattro ore, non li temerei più — rispose Yanez. — La Marianna, con equipaggio rinforzato, diverrebbe imprendibile. Avrà molti difensori Tremal-Naik?

— Suppongo che abbia potuto raccogliere una ventina di malesi, signor Yanez.

— Avremo così un piccolo esercito che darà da fare a quel maledetto pellegrino. Affrettiamo il passo e cerchiamo di giungere al kampong prima che l’alba sorga.

La foresta non permetteva però che si avanzassero così rapidamente come avrebbero desiderato, essendo caduti in mezzo ad un’antica piantagione di pepe che avvolgeva gli alberi in una rete assolutamente inestricabile.

Le grosse piante non erano riuscite a soffocare i sarmenti altissimi i quali, ripiegandosi verso il suolo e collegandosi coi rotang ed i calami o avvolgendosi intorno alle mostruose radici uscite dal suolo per mancanza di spazio, formavano un intrecciamento colossale che opponeva una solida resistenza.

— Mano ai parang — disse Yanez, vedendo che le due guide non riuscivano a passare.

— Faremo rumore — osservò il pilota.

— Non ho già alcuna voglia di tornarmene indietro.

— I dayachi possono udirci, signore.

— Se ci assalgono li riceveremo come si meritano. Affrettiamoci.

A colpi di sciabola riuscirono ad aprirsi un varco e sempre sciabolando a destra ed a manca, continuarono ad inoltrarsi nell’interminabile foresta.