Pagina:Il Sofista e l'Uomo politico.djvu/201

Da Wikisource.

For. Interrogliinmoli dunque di nuovo. PoicJjfi se vogliono concedere che delle cose che son* D ce ne sia qualcuna, anche piccola, incorpoi^J ci basta. Essi infatti ci dovranno dire che cos» c'è di comune e in queste cose £d in quely là, quante-hanno corpo, che sia loro cosi conjjjl turato, da poter essi in considerazione di questo affermare delle une e delle altre che sono. Ford credo io, sarebbero imbrogliati. E posto ch« siano in tal caso, considera se, suggerendolo noi volessero accettare e convenire che ciò che è è come sono per dire. Teet. Come poi? Dillo, e tosto lo sapremo Fou. Dico dunque che ciò che possiede una qualsiasi capacità, vuoi che da natura sia die- E posto (l) a fare un'altra cosa qualsiasi, vuoi a patire, sia pure un pocolino, dalla cosa più irsi- gnificante, e sia pure una sol volta, tutto ciò i veramente. Pongo infatti questa definizione, ciò che e non essere altro che potenza (2). (1) Aéyto 61/ tò xal inoiavovv xext tj/tivov òvva/ttr t&J tl$ rò nouìv itcqov Atto&v jitipvxò; eie' elg tò na9iì’-.„ iràv rauca òuttog elvai. Checché dica I’Apelt, non si può dubitare che il primo tò abbia a riferirsi anche a rteipvxóf, Ripete infatti ciò che avea detto poche linee sopra: tò ...gvfiepvhg ysyovóg ¦ nè bastava dire “ ciò che possiede una capacità „, ma si dovea aggiungere una capacità sua propria, insita nella sua natura, non accidentale o acquisita. Anche nel Teeteto, p. 156 A, il fare e il patire si identificano col movimento, ma in relazione al mondo sensibile; perciò con la teoria del Sofista ciò ha ben poco che fare. (2) Potenza (ótjva/tts) è da intendere in senso latissimo come attitudine o disposizione naturale tanto ad pssere ' //