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La tesi dell’Uomo politico. 83

lazione razionale: esso non è di natura sua dimostrativo ma suggestivo: esso rappresenta la verità in forma fantastica, e dalla logica differisce quanto un’intuizione da un’argomentazione. Per questo suo contenuto sostanziale si spiega l’insistenza frequente di Platone nel voler farlo credere come vero. E vero è infatti; o se non è verità logica, si può dire per lo meno che esso è immagine della verità, come il mondo sensibile dell’intelligibile. E tale è anche il mito del Politico.

Ad uno stato di innocenza infatti succede in esso un periodo di corruzione: che se il cambiamento non è determinato da una colpa attuale, esso, ciò che è peggio, è inerente alla materia, la quale porta in sè per natura sua il germe del diverso. È notevole per altro che anche quella vita di innocenza, che Platone si finge, non è per sè stessa vita perfetta e interamente passiva sotto il governo di Dio. Come il primo uomo nel Paradiso Terrestre poteva obbedire e non obbedire al comando del suo padre e creatore, così quello del mito platonico, ma con più limitata libertà, poteva approfittare delle sue vantaggiose condizioni per procedere innanzi nella conquista del vero, e poteva invece perdere il tempo in frivolezze. Ad ogni modo esso aveva la vita facile e sana, e la elezione sua, si può dire, si limitava a goder del bene o a cercare il meglio, una differenza di grado sempre nella stessa direzione. Ma come Dio lascia il governo del mondo, e questo gira come porta la propria natura del diverso, anche l’uomo ripiglia la sua libertà piena e intera, e la libertà è la causa del male: essa è però altresì la causa di meritare. Lo scopo della vita, anche nell’attuale ordine del mondo, è il conoscere; e quanto è più difficile raggiungere questo scopo in quest’ordine, tanto maggiore è lo slancio necessario, e quindi il merito di raggiungerlo. Platone lo dice chiaramente: non è la facilità della vita il bene finale dell’uomo. Terminata infatti la descrizione di quell’età di innocenza, il Forestiero eleate domanda al suo interlocutore, se tra quella vita e la nostra egli saprebbe distinguere quale sia più felice; e l’altro risponde che