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136 LA PRIAPEA

CXXXVII.


Or ecco autunno, Dio ne sia laudato,
     E gl’orti miei faranno un bel festone,
     E d’ogni frutto avrò munizione.
     4Ma che? si parte tosto ch’è arrivato.
Onde da’ putti sarò poi lasciato,
     Come si spoglia al tutto la stagione,
     E gli arboscelli restano in giubbone,
     8Sì, ch’io da un cazzo resterò piantato.
Pur mi consolo, e poco me ne duole,
     Per esser fatto il mondo d’un lavoro,
     11Che gira a tondo come il tempo vuole.
La luna or è d’argento, ed ora è d’oro,
     Ed è nel cielo: Ma che più parole,
     14Se hanno le potte ancora il tempo loro?


CXXXVIII.


Donne mie care, agl’occhi lividetti
     Conosco, che v’è giunto il vostro mese,
     E la venuta di messer marchese,
     4Vi mette in guazzabuglio i canaletti.
Però bisogna a forza di confetti
     E di vernaccia starvi in buone spese,
     Ogn’opra usando acciocchè ’l vostro arnese
     8Quanto più sia possibile, si netti.
E se nell’orto mio venute siete
     Per coglier erbe, e poi per farne stracci
     11E cavarvi la voglia che tenete,
Ruta e serpillo avrete senza impacci,
     L’erba mia non, che come voi sapete
     14La menta mai non entra in sanguinacci.