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78 LA PRIAPEA

XXII.


O donna sciocca, di che cosa ridi?
     Ridi tu forse perch’io son di legno,
     Nè Fidia di sua man m’ha fatto degno
     4Nè gli altri mastri di sì chiari gridi?
Dunque, perch’io sia rozzo tu ti sfidi
     Che in me non sia attitudine nè ingegno,
     Da farti in un bisogno il ventre pregno
     8Onde così ridendo te ne occidi?
Ma se ben di mia bocca ti confesso,
     Che ’l divin Buonarroti e ’l Sansovino
     11Non mi fer mai di marmo nè di gesso.
Resta per questo ch’io non sia divino,
     Se più di mille volte, e pure adesso
     14Son uscito di culo all’Aretino?


XXIII.


Può far Dio, che quei cazzi sien gentili,
     Quei dalle belle donne più adocchiati,
     Ch’hanno i braghetti vaghi e ricamati,
     4E portan taffettá, trine, e profili.
E tutti gli altri sien tenuti vili,
     Che come il mio si stanno mal menati,
     E d’ogni guarnimento sfoderati
     8Nè di seta han castelli e campanili.
Dunque a che gli orti omai non abbandono,
     Che pur esser ne voglio il barbassoro,
     11Ed a ciascun che v’entra non perdono.
A che ne fo più bandi e concistoro
     Se perder non poss’io, se ignudo sono,
     14Nè voglion cazzo, che non sia tutt’oro?