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118 IL BUON CUORE


Già, anche mentre don Bosco era in vita, egli ne era stato preconizzato successore, e già molti anni prima della morte di lui — avvenuta il 31 gennaio 1888 — era l’anima di tutta la vasta società, ne conosceva l’amministrazione, gli ordinamenti, l’inviluppo degli affari e dei disegni.

Nel 1885 don Bosco stesso lo nominò suo vicario con diritto di successione.

Morto don Bosco, la devozione e la simpatia che circondavano questo nome — che la Chiesa due anni dopo elencava fra i suoi venerabili — si riversarono su don Rua, mentre un atto di Leone XIII in data 11 febbraio dello stesso anno, lo confermava nella carica di superiore generale della Società salesiana.

Don Bosco vide per la prima volta Michele Rua quando questi, bambino di otto anni, frequentava la scuola di Santa Barbara, retta dai fratelli delle Scuole Cristiane.

Da quei giorni incominciò la devozione del piccino per il fondatore dell’opera salesiana e Michele Rua prese quasi subito a frequentare l’oratorio di Valdocco. Fu in quella visita, prendendo parte ad una processione — così raccontò egli stesso — che vide fra i devoti colla torcia in una mano e nell’altra uno dei libri di preghiere distribuiti da don Bosco, il conte di Cavour. Don Rua anche molti, molti anni dopo, diceva:

— Me ne ricordo ancora, come se lo vedessi oggi.... Don Rua vestiva l’abito chiericale il 3 ottobre 1852 in una chiesetta nei pressi di Castelnuovo d’Asti, dove nacque don Bosco. Qualche anno dopo il suo protettore gli dava un segno della sua predilezione: morta la propria madre, chiamava a sostituirla nell’ufficio di custode, di economa-amministratrice della sua casa di Valdocco, la madre di Michele Rua.

Nel 1858, la prima volta che don Bosco andò a Roma per essere ricevuto da Pio IX, condusse seco come segretario il giovanetto chierico. Fu in quella occasione che don Bosco, ritiratosi don Rua, chiese al Papa che gli concedesse le basi di una istituzione compatibile coi tempi e coi luoghi.

Due anni dopo il chierico finiva gli studi teologici e fu chiesta al Vaticano la dispensa della sua giovane età per la sacra ordinazione del giovanetto. E’ caratteristica la risposta del Papa, il quale, per dare speciale prova della sua benevolenza, concedeva «all’ottimo cooperatore dell’Opera di carità e religione», la grazia chiesta per semplice rescritto. Occorreva, però, per l’esecuzione del rescritto il placet del Governo, che don Rua dovette attendere ancora per due mesi. Ma il 29 settembre 1860 egli veniva insignito del carattere sacerdotale e il 30 settembre celebrava nell’oratorio suddetto senza speciale solennità.

Don Rua fin dall’ora teneva in mano gran parte della gestione dell’oratorio con la sua invincibile fermezza di carattere. In lui le qualità più eminenti si congiungevano ad una profonda umiltà, che fu dote costante della sua lunga vita.

La Società è l’opera di don Bosco sotto don Rua — durante i 22 anni in cui ne tenne la direzione generale — raggiunse il massimo sviluppo specialmente all’estero. A ciò contribuiva la perfetta conoscenza che egli si
procurava delle istituzioni, visitandone buon numero in tutta Europa, nell’Africa del Nord, nella Turchia e nella Palestina. Per le case d’America si manteneva in tale corrispondenza personale coi superiori e persino con le persone di servizio sì da poterne avere un concetto esattissimo e particolareggiato.

Alla morte di don Bosco la Società contava circa 500 soci; oggi ne ha oltre 4000. Gli stabilimenti educativi lasciati da don Bosco erano circa un centinaio e don Rua li portò ad oltre trecento. In tale cifra non sono compresi quelli riguardanti gli istituti della Società di Maria Ausiliatrice, che procedette sempre con eguale sviluppo di quello dei Salesiani la cui direzione venne fino a questi ultimi tempi, tenuta da don Rua.

L’opera dei Salesiani oltre i confini della patria è caratterizzata da uno schietto senso di italianità, il quale induce a credere che nessun altro degli Istituti in questo notevole periodo d’anni abbia maggiormente contribuito a diffondere all’estero, e specialmente nell’America meridionale e centrale, lo spirito di italianità e la conoscenza della lingua madre quanto la Società salesiana diretta da don Rua.

Una documentata rivelazione di questo fatto si ebbe all’Esposizione di Milano nel 1906, ove l’opera di don Bosco figurava nel ramo degli Italiani all’Estero, riportando il Gran Premio e il più sincero elogio della giuria, la quale rese omaggio alla grandiosità del lavoro compiuto all’estero dai Salesiani. Rilevavasi allora da una statistica sommaria che la massima parte delle Case salesiane erano in America e negli altri paesi extra-europei e che in tutte si insegnava l’italiano, si inalberava la bandiera italiana e si faceva opera di patriottismo diffondendo con ogni mezzo la nostra cultura.

L’opera di don Rua all’Esposizione di Milano si presentava divisa in quattro grandi sezioni: Istruzione, educazione e beneficenza fra i popoli civili; Missioni religiose e colonizzazione fra i popoli selvaggi; Assistenza e scuola fra gli emigrati italiani; Missioni varie lavori di italiani all’estero.

Notevole è il lavoro compiuto sotto la direzione di don Rua nella civilizzazione dei popoli selvaggi e nella colonizzazione dei vasti territori da questi occupati. La conquista della Patagonia alla civiltà è merito dei Salesiani, i quali in due vastissimi vicariati hanno piantato una trentina di case coloniche agricole, scuole di arti e mestieri, studi di vario genere e persino qualche fiorente osservatorio astronomico e meteorologico che presta preziosi servizi alla scienza in quelle lontane e sconfinate regioni.

Questa impresa di civilizzazione don Rua iniziò in questi anni nel Matto Grosso al Brasile, ottenendo in mezzo a tribù selvagge dei risultati mirabili, che vengono apprezzati dal Governo di quella giovane repubblica. Persino la cura e l’assistenza dei lebbrosi don Rua volle impiantare da qualche anno in America. La stampa italiana ha avuto ripetute occasioni di occuparsi dei lazzaretti per i lebbrosi che egli fece costruire ad Agua de Dios ed a Contratacion dove molti dei Salesiani si sono isolati dal mondo civile, votandosi ad una vita di sacrifici ad una sorte che mette raccapriccio al solo pensarvi.