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150 IL BUON CUORE


una così buona volontà; e acconsentì che sottraesse ai doveri d’ufficio alcune ore settimanali per frequentare le lezioni dell’Università; gli volle aumentare l’onorario, pur senza umiliarlo, sotto pretesto di assistere nei compiti e con ripetizioni il figlioletto suo che studiava ginnasio; lo incaricò altresì di lezioni private da dare alla sua bambina dodicenne; insomma, prese a ben volerlo in un modo affatto insperato quanto generoso.

A questo punto erano le cose, quando Edith fu richiamata a Genova. Essa non conservava più che un ricordo molto svanito dell’affronto che patì alcuni mesi prima; si era divertita, si era distratta. E in società a Genova, il piccolo romanzo, seppure non era affatto dimenticato, avea appena un’eco che sempre più andava spegnendosi, per fondersi con tanti altri rumori in un suono indistinto e vago. Solo talune amiche intime vi accennarono; ma senza malizia alcuna, quando, ritrovandosi con lei, non pareva loro vero di potersi abbandonare a confidenti consigli di stare sulle guardie col nuovo venuto, che già non sarebbe migliore dell’altro; che quella eleganza nel vestire, quell’aspetto d’una fierezza nobile e piena di una adorabile noncuranza, e così simpatica; che il fatto di essere già tanto introdotto, gli potevano suggerire dei passi audaci. Si rise un poco sull’avventura, si fece un po’ di canzonatura leggera, delicata, ma nulla di più. Edith prendeva con spirito e il serio e il burlesco; però non si sarebbe guardata affatto. Che le poteva fare un dipendente di suo padre, sempre vegliato, e tanto più dopo l’esempio dell’altro? Caso mai egli avesse osato, la porta là c’era anche per lui. E queste parole molto esplicite, e qualche impertinenza aggiuntavi, con quel disprezzo che pare tanto naturale in una fanciulla giovane, e della classe elevata, persuasero le amiche a non preoccuparsi soverchio della ripetizione d’un increscioso incidente.

Gustavo dal canto suo non offriva il più lontano motivo a timori, per quanto ogni giorno vedesse miss Edith, quando recavasi a dar lezione alla sorella minore o ripetizioni al fratellino cui assisteva spesso come mammina, non certo per rifare le scuole; per quanto fosse rispettosissimo e compito verso di lei ogni volta che la incontrava. Erano quei segni di urbanità più confidente e premurosa soliti usarsi fra persone famigliarizzate da inevitabili circostanze e nulla più, e non acquistavano di intensità e di calore col passar del tempo, ma restavano sempre negli stessi limiti misurati e schietti e riverenti di prima.

Edith non tardò ad accorgersi della posizione incensurabile in cui trovavasi Gustavo Ricci, e potè credere di averne piacere. Ma per poco; il dèmone della vanità si assunse di intorbidare le cose e farle sembrare tutta quella condotta, così leale e onesta, piena di riserbo, nulla più che ostentazione, sforzo di virtù, supponenza, o indifferenza propria d’un cuore già impegnato con altra fanciulla. Erano pure ipotesi, non confortate da una sola prova materiale; pure scavarono nell’animo suo dei solchi più o meno profondi.
Quante volte, nei lunghi ozii della sua frivola ed eterna e così vuota giornata, il pensiero la riconduceva lì a quelle assurde supposizioni, per torturarla in una lotta esauriente e inutile! E col tempo ne nacquero, risentimento di orgoglio creduto offeso; poi un occuparsi di Gustavo, e della sua vita e dei suoi studii e delle sue speranze e del suo avvenire, più di quello che avrebbe potuto confessare anche a se stessa; poi trovarlo più interessante che non avesse creduto; infine scoprì di ammirarlo e di essere tutta assorbita del pensiero di lui....

Di questo lungo cammino di due anni neppur l’aria si era accorta. Certo in ultimo si notava in Edith un profondo cambiamento; non era più in lei la spensieratezza allegra e rumorosa di prima; si appartava volontieri nelle ore del vespero morente là nel più cupo del suo giardino, l’occhio sperduto nel vuoto e quasi inerte, a seguire l’astro maggiore che si tuffava in un trionfo di porpora ed oro, o le bianche vele onde tutto era picchiettato il mare nereggiante che le stava innanzi; vestiva con maggiore ricercatezza e più raffifinato bon gusto la bella artistica persona; il volto divino era tutto soffuso d’un velo di dolce languore che gli comunicava un non so che di indefinibile incanto. Ma a che attribuire questo complicato mutamento, senza tema di giudizio temerario? Il padre tutto ingolfato negli affari, che a dir vero prosperavano prodigiosamente, non era nè l’uomo d’accorgersi subito dei processi dello spirito, troppo transcendenti l’accorgimento dei sensi, nè di tale pronta intuizione d’indovinarne la vera causa. Ah, se fosse stata ancora al mondo la mamma! Così di necessità protraevasi un martirio che dolce dapprima, finì per inasprirsi e divenire angoscioso, spasmodico poi, tanto da non parere possibile di poter soffrire di più.

Ed ecco altra sventura. Il signor Whiteman un giorno si accorge che lo ha afferrato una malattia che non perdona; l’intensa applicazione di tutto se stesso agli affari, l’abuso delle sue energie continuato per anni, gli sforzi incessanti di tensione di mente, le preoccupazioni, i timori, le gioie troppo sentite dei grandi successi, tutto un complesso di cause insidiose ora lo ha completamente esaurito.

Convenivagli, da uomo saggio provvedere ai casi proprii, sistemare gli affari in favore dei figli e possibilmente mettere in bone mani la sua azienda, perchè tanti sudori e tanta fortuna non cadessero nel nulla.

La persona a cui affidare la continuazione dell’opera sua, perchè resti in casa, l’ha sotto mano; è Gustavo Ricci. In quattro anni ha fatto una pratica d’affari da disgradare le vecchie volpi consumate nell’esperienza e nelle scaltrezze del far danaro; ha conseguito la laurea in belle lettere per cui, licenziato dalle scuole, potrebbe dedicarsi tutto all’opera affidatagli; da poco gli è morta anche la madre; quindi solo al mondo, quindi libero di darsi tutto al roseo progetto del suo padrone. E guardate cosa vuol dire alle volte il caso! Uno spirito tutto positivo e pratico, s’incontrava con un’anima eminentemente romantica, pasciuta di ideali, nell’accordo più insperato e più saggio. Il si-