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IL BUON CUORE 151


gnor Whiteman e la sua figlia miravano entrambi a fare di Gustavo Ricci rispettivamente un genero ed un marito.

A sua figlia il signor Whiteman non aveva bisogno di dir nulla su questo punto; era di quei padri dell’antico stampo che, in fatto di matrimonio dei figli, non proponevano ma imponevano l’altra dolce metà. Invece sentiva di dover fare dei passi col suo dipendente.

Cioè, per non esporsi alle conseguenze umilianti di un probabile rifiuto, anzitutto esplorarne l’animo, conoscerne le intenzioni, le vedute. Incaricò pertanto una persona prudente e fidata di tastare terreno presso Gustavo Ricci; se dacchè gli era morta la madre non credesse venuta l’ora di accasarsi, e altre cose, ma molto generiche su questo punto preliminare. Gustavo cercò di rispondere nel modo più vago ed evasivo e poi si trincerò nel più assoluto silenzio. L’incaricato credè prudente per questa volta di non cercare di più, e andò a riferire il risultato al signor Whiteman, che ne rimase male. Forse si poteva sperare meglio in un secondo e più inoltrato scandaglio, parlando di cosa più concreta, più precisata. Per tutto esito Gustavo bellamente pregò il suo interlocutore di non insistere su un tema al quale non voleva pensare. Lo stupore del mandante crebbe a dismisura davanti ad un fenomeno così enigmatico. Forse si pronuncerebbe quando sapesse che era lui quegli che tanto si interessava del suo avvenire, e che insomma avrebbe desiderato che sposasse Edith e con lei si mettesse a capo dell’importante fortunata azienda di cui era da quattro anni collaboratore. E in questo senso parlò l’ambasciatore.

Gustavo andò a dare la risposta personalmente al suo padrone; le cose da dirsi erano troppo delicate per affidarle ad un intermediario; occorreva sottrarle a qualunque indiscrezione e pubblicità e farle note soltanto là dove era indispensabile esternarle.

E il signor Whiteman l’aspettava infatti nel suo salottino particolare, tutto arredato con gusto fine e con gran lusso, più ridente quel giorno, perchè ricreato da un magnifico sole e da una profusione di fiori appena colti.

Gustavo s’avvicinò alla dormeuse in cui giaceva il suo padrone più abbattuto e disfatto del solito, e, all’invito avuto, gli sedette accanto.

— Mi portate dunque una buona notizia, io spero — prese a dire l’ammalato; mentre con occhio scrutatore fissava il giovane dipendente come se aspettasse una parola di vita.

— Signore, — disse Gustavo — da quattro anni sto nella vostra casa, più come figlio che come addetto al lavoro; e nessuno più di me saprebbe apprezzare tutto il bene che mi avete fatto, e nessuno più di me vorrebbe esservi riconoscente nella forma da voi desiderata. Ma una ragione imperiosa mi costringe a declinare la splendida proposta che chiunque sarebbe felice di poter ricevere....

Allora — interruppe il padrone — posso, debbo credere che il vostro cuore sia già impegnato.

— Dirò... nel senso che si dà comunemente a questa espressione... propriamente... no....

— Dunque se siete libero, non capisco come si possa rifiutare un onesto partito... non dico altro.

— Soggiungo però che un impegno di cuore, diverso dai soliti, c’è, e mi comanda, in nome della lealtà e del galantomismo, di restargli fedele. Mi spiegherò meglio, per quanto mi costi di fare certe confessioni troppo penose.... — Il padrone si sforzò di sollevarsi alquanto, come per prestare maggior attenzione e afferrare meglio la strana ragione che induceva Gustavo a voltare le spalle alla sua fortuna.

— Subito dai miei primi anni, appena la mente mi si aprì ad accogliere le svariate impressioni della vita, non so perchè o come, presi ad accarezzare una dolce visione, che immobile si fissava davanti a me, per accompagnarmi sempre e ovunque, per allettarmi, per sorreggermi, abbellirmi d’incantevole poesia il mio cuore. Non vidi più altro intorno a me; elettrizzato dalla sua magica potenza e in balìa della seduzione che esercitava sul mio spirito, potei passare invulnerato tra altre seduzioni e pericoli fino ad oggi. Neppure i sacri doveri verso mia madre che adoravo, poterono mai farmi perdere di vista la luminosa visione che era divenuta parte della mia vita; per mettermi in grado di servir meglio a quel divino ideale studiai, per avere poi la laurea in belle lettere. L’impazienza era molta e irresistibile di volare là dove mi sentivo chiamato; ma dei vincoli mi trattenevano: gli uffizii di pietà filiale verso una madre malata e vecchia. Ora che passò a vita migliore, quei vincoli sono spezzati, io sono libero; e godo mi abbiate data voi stesso, o signore, l’occasione favorevole di manifestarvelo: entro il mese sarò ammesso nel grande Seminario di Genova per prepararmi al Sacerdozio....

Se fu un colpo inaspettato e duro pel povero malato, che da mesi si cullava con voluttà nell’idea di vedere continuata la sua Casa di commercio da Gustavo Ricci divenutogli più che genero, figlio, lo lascio immaginare ai lettori. Però si riebbe subito e replicò:

Proprio questa uscita io non l’aspettavo, e mi stupisce che voi, giovane di talento e di spirito, vogliate seppellirvi in un Seminario o in una Cura, quando si sa in qual conto è tenuto dalla società il sacerdote, quante antipatie e avversioni e duri trattamenti gli sono serbati. E quasi ciò non bastasse, l’elemento ecclesiastico istesso non manca di fornire ai più onesti e retti, ai sacerdoti veramente degni di tal nome, abbondante materia di dolore, con animosità, sospetti, recriminazioni, denunzie, guerricciole tutt’altro che sacre.

— Signore, tutto questo è naturale, dato che il sacerdote debba pel suo ministero impegnare una lotta corpo a corpo colle passioni, le quali non impunemente si lasciano affrontare, denunciare, condannare; tutto questo è naturale, dato che gli ecclesiastici sono uomini come altri per la natura, non trasformati in Santi o confermati in Grazia pel solo fatto d’aver ricevuto l’Ordine sacro. Ma guai se l’opposizione, la difficoltà dovessero sgomentare e venir ritenute motivo serio a non affrontare una posizione di combattimento a cui si è chiamati.

(Continua).