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174 IL BUON CUORE


remoto esistesse una valutazione rudimentale qualsiasi dell’ineffabile presenza tra noi che dopo salì a significato così grande.

Forse il primissimo ridestarsi del sentimento di cui parliamo lo possiamo scoprire nella curiosa pratica di racchiudere porzione del S. Sacramento accosto a reliquie di Santi nel cavo di altari durante la cerimonia della loro consacrazione. Scrittori protestanti cercarono qualche volta di fare di ciò materia di controversia, e si indugiarono sul concetto che l’Ostia consacrata venisse abbassata al livello di mera reliquia. Ma il linguaggio del Concilio inglese di Celchyth dell’816, all’epoca dell’Arcivescovo Wulfred, che raccomanda la pratica, offre il miglior commento di questa insinuazione.

«Volta che una chiesa sia costruita, venga consacrata dal Vescovo della diocesi. Che con acqua da lui benedetta, da lui parimenti sia aspersa, e che le altre cerimonie siano osservate a tenore del Pontificale; poi, l’Ostia santa che è consacrata dal Vescovo nell’istessa funzione, sia collocata in una piccola teca insieme a reliquie e conservata nella medesima Basilica. E se non trova altre reliquie da mettervi, tuttavia, questa per Sè può bastare all’uopo perchè è il Corpo ed il Sangue di nostro Signor Gesù Cristo. Inoltre noi ingiungiamo a ciascun Vescovo di far dipingere sui muri dell’Oratorio o su una tavola, oppure anche sull’altare stesso, a quali Santi e l’edifizio in generale e l’altare in particolare sono dedicati».

Preso isolatamente questo passo, noi potremmo inferirne che la capsa, o la teca di cui è parola, avesse il senso di tal quale tabernacolo messo sull’altare stesso o introdotto in una delle sue facciate. Davvero, non è facile capire come l’Ostia santa, che in seguito dovea restarvi, potesse venir «consacrata dal Vescovo nell’istessa funzione» a meno che la tavola dell’altare fosse precedentemente completata e pronta per la Messa da celebrarvisi sopra. Ma noi non dobbiamo nell’istesso tempo, trascurare la chiara rubrica trovata nel cosidetto Pontificale di Egberto, che se qui attualmente rappresenta l’atto dell’Arcivescovo Egberto, deve essere di mezzo secolo più antico del decreto del Concilio di Celchyth. «Di poi», dice il Pontificale parlando della deposizione delle reliquie, «egli (il Vescovo) mette tre particelle del Corpo del Signore entro il sepolcreto, e tre di incenso, e le reliquie vi si accludono con esse». Questo però non esclude assolutamente la possibilità d’una specie di tabernacolo sotto la tavola dell’altare, ma le rubriche scoperte altrove negli antichissimi Pontificali, e l’assenza della più leggera insinuazione che il Santo Sacramento dovesse rinnovarsi o chiudersi a chiave, sembra chiaramente suggerire che la pratica che venne in seguito, non potesse essere stata diversa da quella che oggidì prevale, secondo la quale è una cavità nella solida pietra, e un coperchio o sigillum vi è cementato sopra. Pienamente d’accordo con questo, veniva un’Antifona durante il processo del richiudersi delle reliquie che prese la forma seguente:

Sub altare Domini sedes accepistis, intercedile pro nobis apud quem (gloriari) meruistis. Tuttavia qui non ci troviamo interessati così immediamente coll’argomento
dell’uso delle reliquie nella consacrazione degli altari, che richiederebbe di certo un articolo per sè solo. In ogni caso egli sembra non vi sia dubbio che, in Inghilterra come nei paesi celtici, e apparentemente anche in Spagna durante il primo Medio Evo, la presenza delle reliquie non era ritenuta essenziale al rito. Nulla forse lo dichiara con più evidenza della Denunciatio, scoperta, tra altri libri, in un Pontificale di Canterbury scritto avanti la Conquista Normanna; da cui sembra derivare chiaramente che anche là dove le reliquie venivano impiegate, la cerimonia della loro deposizione nell’altare era riguardata come azione affatto separata della consacrazione. Di più, ci ha taluni Pontificali inglesi sempre esistenti, che non fanno menzione di reliquie, e molti altri che sembrano contemplare il loro impiego come desiderabile.

Considerevole invece il numero degli antichi cerimoniali facenti menzione della S. Eucaristia che prescrivono come il Corpo di Cristo vada collocato entro la «confessione» insieme a reliquie e a tre grani d’incenso. L’ingiunzione la troviamo nell’Ordo Romanus di Hittorp e in taluni manoscritti del Sacramentario Gregoriano. Il Sacramentario di Drogo di Metz del nono secolo la contiene pure, così anche il libro conosciuto come il Pontificale Llanaletense che in ultimo sembra descriverla quasi pratica distintamente romana. Che del resto prevaleva a Reims, Lione, Noyon, Beauvais, Soissons, e in molti altri luoghi; tra le quali testimonianze possiamo notare le leggere frasi varianti del Pontificale di Amiens del decimo secolo: «Le sacre reliquie siano riposte nell’altare dalla mano del Vescovo, insieme al Mistero del Corpo di Cristo e coll’incenso, mentre il Clero ripete Exultabunt sancii in Gloria, etc.». Similmente il Pontificale di S. Dunstano contiene una rubrica variante di questa forma: «Se vi sono reliquie, vengano collocate onoratamente sotto la confessione dell’altare, o in luogo conveniente con tre particole del Corpo del Signore». Ma il tipo più antico, probabilmente, come più compito e più generale, è quello rappresentato di preferenza dal Pontificale di Egberto e dal Pontificale Llanaletense, comprendente i seguenti separati elementi:

a) L’uso del crisma nella «confessione» Egberto dice: «Il vescovo pratica una croce col sacro crisma nell’interno della confessione e precisamente nella parte di mezzo dove le reliquie dovranno collocarsi, ed anche ai quattro angoli». Il Pontificale Llanaletense prescrive: «Ponga il crisma nella parte interiore della confessione ai quattro angoli, in forma di croce». Ma sembra un tantino che le rubriche si arroghino un posto un po’ largo nella confessione.
b) Le reliquie devono collocarsi nella parte interna per mano propria del Vescovo.
c) Vi si devono mettere altresì tre particole del Corpo del Signore.
d) Con tre grani d’incenso.
e) Egberto e uno o due altri Pontificali suggerirebbero che la cerimonia dovesse nascondersi ai fedeli congregati coll’interposizione di un velo.

A me pare che, con questi particolari innanzi agli