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230 IL BUON CUORE


fino la forma di una espressione pel timore di avere anche involontariamente recato un’offesa — erano queste le doti rare dell’amatissima nostra presidente. — La Società delle Dame di S. Vincenzo sotto il suo governo si ingigantì, prosperò direi quasi miracolosamente. Lo attesta il numero cospicuo delle nuove ascritte e la ricchezza di un bilancio, che dalla sua rigida esposizione rivela tutto un lavoro di grazia e d’amore.

«Ma d’onde mai ella traeva tanta forza, se la stessa affigurazione del suo carattere morale, non era quale da natura fu dotata, ma frutto di una lotta soggettiva, acre e continua per contenere ogni scatto, per disciplinarsi a remissività anche quando le vedute altrui non erano le sue? Ai piedi degli altari santi, in un’ascetica ben intesa, fortemente sentita, trovò il segreto della sua forza.

«Ella era davvero una dama di carità, quale il santo fondatore Vincenzo de’ Paoli l’ebbe tratteggiata.

«Deh, perchè cosi presto il Signore ti ha tolta da noi? Ma nella tomba non si estingue la vita. Dei giusti è detto che le loro ossa pulluleranno dai loro sepolcreti e parleranno anche dopo morte.

«E tu parlerai a noi il linguaggio eloquente dell’amore! Porteremo il tuo saluto al povero, che ti piange, perchè colle sue preci ti affretti il cielo; scolpiremo il tuo nome indelebile nella nostra memoria e se oggi, per aderire al tuo desiderio nobile e cristiano, non abbiamo portato fiori, inghirlanderemo la tua tomba di fiori che non avvizziscono. Nelle nostre plenarie adunanze, fra i nostri privati consigli, alle nostre fiere di beneficenza, ad ogni nuova espansione dell’opera, penseremo a te, ti offriremo come corona il frutto di tua semente. E tu appo Dio prega per noi e ne consola».

Altri discorsi affettuosi ed eloquenti nell’enumerazione di fatti parlanti furono pronunciati dal rev. sacerdote Tanzi e da una signorina della parrocchia di S. Maria alla Porta. I sentimenti degli abitanti di Merate furono espressi con calda parola da un coadjutore, D. Elia Caversasio, il quale dimostrò come la contessa Maria Dal Verme intensificasse ed estrinsecasse efficacemente anche in campagna la sua opera benefica, facendosi amare da tutti quale protettrice dei poveri, dei malati, dei deboli e di ogni opera tendente a lenire le miserie dei colpiti dalla sventura.

Quante lacrime intorno a quella bara! Indicibili erano le espressioni di dolore delle Dame di S. Vincenzo, intervenute in gran numero. Le Signore del Consiglio direttivo, non avendo potuto, in ossequio alla volontà della defunta, portare alla loro amata Presidente un tributo di fiori, onoreranno la sua memoria a seconda dello spirito dell’eletta benefattrice, cioè elargiranno un’offerta alla Società per i bisogni più incalzanti della prossima invernata.

Nonostante il succedersi turbinoso delle vicende, il ricordo della contessa Maria Dal Verme sarà duraturo. La ricorderanno le benefattrici a Lei collegate nelle opere buone, e la ricorderanno i beneficati nei richiami della carità delle Dame di S. Vincenzo. La ricorderanno pure le buone Suore, che riguardavano la pia gentildonna come perno dell’associazione, e La
ricorderemo anche noi, che, da queste colonne, con cuore affezionato, esprimiamo le nostre condoglianze a tutti i superstiti in lacrime, ancor trasognati per la repentina scomparsa dell’eletta Creatura.

A. M. C.

L’editore Cav. PAOLO CARRARA.

Dopo lunghe sofferenze, martedì mattina, assistito da’ suoi cari, coi conforti della Fede, è spirato il noto editore cav. Paolo Carrara.

Questo nome ci rammenta una bella epoca letteraria, l’epoca in cui non mancavano degni discepoli della scuola manzoniana, di cui il Carrara fu convinto ed efficace fautore.

Egli, infatti, fu editore dello Stoppavi pei Primi anni di Manzoni, e fu pure editore di Giulio Tarra, di Felicita Morandi e di tanti altri benemeriti della letteratura educativa.

Naturalmente il Carrara rimpiangeva la bella epoca tramontata e protestava contro le pubblicazioni immorali, specialmente contro i periodici divulgatori di scandali. Il nostro memore saluto all’ottimo editore; le nostre amichevoli condoglianze al figlio Pietro, affettuoso e fedele continuatore delle tradizioni paterne.

A. M. C.

EDOARDO BURGUIÈRES

fu un giovine del quale non è esagerazione il dire che amò la terra solo perchè amava il cielo. La sua breve vita trascorse tra il collegio, la famiglia e il lavoro. Abborriva l’ozio; amava la sua famiglia di un amore di nostalgia, e lì solamente, coi suoi cari, e specialmente con la mamma, si trovava bene; tanto che non sentì mai il bisogno di compagni.

Ebbe un istintivo abborrimento al male e in modo particolare, a quella forma di male, che tra i giovani pare inevitabile. La sua fisonornia era abitualmente seria, quasi severa; ma un dolcissimo sorriso lo illuminava quando gli si rivolgeva la parola dell’affetto: parlava poco, e ascoltava molto: aveva un cuore straordinariamente inclinato alla pietà per i poveri, ai quali destinava la maggior parte dei suoi risparmi. L’anima sua congiungeva l’affetto tenerissimo per la famiglia con un religioso misticismo, che gli rendeva la preghiera facile e cara.

La malattia che lo condusse alla morte lo rivelò completamente. Essa fu lunga e penosa: fu una dolorosa alternativa tra la speranza e il timore, finchè, malgrado tutti gli sforzi dell’arte medica, interrogata per mille guise, dovette soccombere. Fu sempre calmo tra i dolori, confortato dalle cure affettuose de’ suoi: la mamma e le sorelle si alternavano a vegliarlo con quell’affetto che non si esprime: egli, riconoscente a tutti, voleva sempre la mamma; e quando l’aveva vicina, gli pareva di star bene. Il giorno prima di morire e molte altre volte innanzi, aveva raccomandato ai suoi di soccorrere una famiglia povera che egli prediligeva.

Aveva ricevuto i conforti religiosi con esemplare di-