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246 IL BUON CUORE


il quale ha concesso a quanti che veramente pentiti e confessati le reciteranno divotamente, mille anni di indulgenza, e molti altri Papi vi fecero tante aggiunte da ammontare a quarantasei mila anni d’indulgenza all’incirca».

Diamo un saggio delle sette orazioni indulgenziate, riportandone la prima e l’ultima: O Domine Jesu Xpiste, adoro te in cruce pendentem et coronam spineam in capite portantem: te deprecor ut tua crux liberet me ab angelo percutiente. Pater noster, Ave Maria.

O Domine Jesu Xpiste, te deprecor propter illam amaritudinem quam pro me miserrimo sustinuisti in cruce, maxime quando nobilissima anima tua egressa est de corpore tuo; miserere anime mee in egressu suo. Pater, Ave.

Ora, tanti sforzi e tante bone intenzioni di dare alla Messa di S. Gregorio una base storica, e proprio quella di cui sopra, purtroppo non riescono nell’intento. Anzitutto le suddette citazioni non hanno il minimo riscontro in nessuna Vita antica di S. Gregorio o in scritti contemporanei. Quanto alla località dell’apparizione di Cristo paziente a S. Gregorio mentre celebrava, lo si è già detto, sarebbe stata il Monastero di S. Andrea sul monte Celio, perchè sotto una Messa di S. Gregorio sita in alto dell’altare di quella Cappella v’era l’iscrizione

gregorio i. p. m. celebranti jesus

christus. patiens. heic. visus. est.

Ma viceversa l’iscrizione non prova nulla in propoposito, datando essa da un tempo (secolo XV) in cui la Messa di S. Gregorio era già tanto famigliare agli artisti, e perchè molti altri altari di Roma reclamano per sè l'istesso onore.

E la critica procede a respingere anche il fatto della apparizione stessa. Prima perchè l’immagine di Gesù sofferente per sè è molto più antica della composizione nota come la Messa di S. Gregorio. Il Venturi nella sua Storia dell’arte italiana, e antiche stampe e miniature del British Museum anteriori al 1420 portano immagini di Gesù sofferente in cui il Salvatore è rappresentato col corpo tutto piagato e col Sangue che dal costato sgorga in un calice tenuto non già da S. Gregorio magno ma dal giovane re inglese Erico V; e in questo tempo è quasi impossibile che la Messa di S. Gregorio fosse nota in Inghilterra.

Poi ci sarebbe l’ostacolo delle preghiere indulgenziate: La forma in cui è espressa la concessione dellle indulgenze annesse alle cosidette sette preghiere di S. Gregorio non è mai dato trovarla in autorità contemporanee al Santo ma parecchi secoli dopo; le indulgenze sono indifferentemente attaccate tanto alle semplici immagini di Gesù sofferente come alla Messa di S. Gregorio; il che mostrando avere un rapporto, non col Papa, ma colla compassionevole vista del Salvatore, contribuisce ad escludere il fondamento storico della Messa di S. Gregorio. Poi anche è inammissibile da parte di chi dovrebbe essere servo prudente e bon amministratore dei beni di Cristo, tanta prodigalità e sperpero di tesori della Chiesa, quale è la concessione di
quarantaseimila anni circa di indulgenza per la recita di sette brevi preghiere, quando si pensi che quasi c’è da incomodarsi di più per lucrare quaranta miserabili giorni d’indulgenza ai nostri giorni. C’è pertanto tutta la ragione di credere apocrife dette indulgenze, e che sventuratamente si sia continuato a ristampare così e l’immagine e la dicitura.

Poi a farci respingere l’antichità della Messa di S. Gregorio e a fissarla in tempo molto posteriore, e solo con intendimento di pietà e di culto, c’è che nella rappresentazione si introduce progressivamente tutta la suppellettile sacra, propria della Messa, volendosi esprimere con ciò un nuovo concetto della presenza eucaristica del Salvatore insinuato dall’extra-liturgico culto del SS. Sacramento che allora si svegliava alla vita.

Resta sempre da spiegare come all’immagine complessa di cui abbiamo parlato fin qui si diede il titolo di Messa di S. Gregorio. Ora da manoscritti Vaticani del 1375 editi nella edizione critica del Mirabilia Romae ci sarebbero questi dati: In sancta Prisca est corpus eius; item corpus Aquile et Pisce (sic) de quibus scripsit Apostolus. In altare quod consecravit Gregorius Papa cui in eodem missam celebranti apparvit imago crucifixi, ob cuius memcriam Papa Urbanus officium Nos autem decrevit; et super idem altare est pictura sancte (sic) Luce de manu propria.

Ebbene, da ciò sembrerebbe che si possa essere sulle traccie della storica tradizione concernente la Messa del Papa Gregorio. Risulta infatti dalla detta citazione che un Papa Urbano istituì una Messa il cui Introito è presumibilmente Nos autem gloriari oportet in cruce Domini nostri Jesu Christi. È un fatto curioso che un cosiffatto Ufficio della Santa Croce fu verisimilmente introdotto da Papa Gregorio XI, nel 1377 (V. Baronio ad annum) e, sapendo noi che il successore di quel Papa fu Urbano VI, ciò insinuerebbe, almeno come remota possibilità, che il Gregorio al quale in origine fu attribuita la manifestazione del Cristo sofferente, possa essere un altro e molto più moderno Gregorio, e che il Papa Gregorio magno fu solo introdotto in forza di quella legge dell’habenti debitur che presiede a tutta l’agiologia popolare. Nulla può meglio essere stabilito che il fatto che i leggendarii eroi invariabilmente attrassero a sè fatti altrui, specialmente quando una identità di nomi e di ufficio intervenga a facilitarne il processo.

Tuttavia non saremo noi che esigeremo si giuri sulla nostra parola. Potrebbe darsi il caso d’una ben diversa soluzione del problema, che saremmo felici di conoscere e di adottare quando sia più soddisfacente della nostra. Intanto siamo ben lieti di avere messa innanzi questa qualunque spiegazione: è già molto aver fatto dei passi per dilucidare oscurità liturgiche e storiche come quelle della «Messa di S. Gregorio», e di aver fatto di tutto per eccitare, provocare gli studiosi a rivedere, a trovare di meglio, se c’è.



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