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254 IL BUON CUORE


lunga e dura prova dell’infermità; in esse sono faville proprie di un artista letterato, di un patriotta, di un amico verace, devoto, fidato, di un Maestro brioso, valente, bonario.

La raccolta che porta il titolo: Lettere famigliari di Luigi Rossari (Milano 1910), fatta con sagace discernimento dalla signora Comotti e preceduta da una diligente biografia del Rossari, è davvero un’opera buona, non solo in quanto — «in quest’ora nostra di fenomenale attività, di stupefacente progresso, ma pur di sfrenate ambizioni e cupidigie» — è atto di nobiltà rendere doveroso omaggio all’«uomo integerrimo e modesto che tutto diede alla Patria senza nulla chieder mai», e visse meritandosi la stima, l’affetto, la venerazione dei migliori dei suoi tempi: Giusti, Capponi, Azelio, Cherubini, Torti, Hayez, Porta, Verga, Visconti Venosta, Carcano, Grossi e, sopratutti, Manzoni, e morì dignitosamente povero; ma ancora per aver contribuito, lumeggiando un astro minore, a completare la conoscenza di quel ciclo fortunoso e fortunato dell’orizzonte politico che precede ed accompagna la fase ultima del nostro Risorgimento.

Quivi, dunque, il patriotta che voglia scoprire l’intimo atteggiamento dell’animo in quel periodo convulso d’ansie, di audacie, di speranze, di scoramenti; quivi lo studioso del patrio idioma; il cittadino che voglia ritemprarsi alle virtù dei nostri maggiori — tutti, tutti hanno la lor ragione di leggere e di consultare questo elegante volume. Ma, sopratutto, l’educatore deve leggere e ponderare queste pagine, l’educator moderno che voglia attingere agli elevati e nobili sentimenti dei nostri vecchi Maestri. — «Troppo spesso corriamo dietro a dottrine e metodi stranieri anche nell’educazione, trascurando, o non avendo fiducia bastante in ciò che l’ingegno e il buon senso italiano ci saprebbero suggerire così bene!». — Quanto ammaestramento da questi nostri grandi ignorati predecessori, che, patriotti nel fondo dell’animo, inspiravano, istruivano ed educavano guardando ai giovani che stavano ad udirli e vedendo in essi, con la profetica anima, i poeti, gli scrittori, i ribelli, i soldati futuri delle rivendicazioni nazionali! La lode doverosa alla valente e benemerita collega; l’augurio di diffusione al buon libro edito, con squisito pensiero, a benefizio del Pio Istituto «I Figli della Provvidenza».

LA CADUTA DI UN ANGELO


Nel salottino riservato che il Baronetto di Blackbird non apre se non agli intimi ospiti del suo castello, che nereggia pauroso là nelle verdi pianure di Leicester, figura un quadro molto singolare.

Un’immensa distesa di terreno ondulato, brullo, deserto, fa da sfondo ad una scena muta in cui agisce un solo essere vivente, una giovane donna. Questa accoccolata in indicibile disordine e confusione, rende tutto l’atteggiamento scomposto, atterrito, dolorante per segreto spasimo, di persona bruscamente precipitata dall’alto; l’occhio errabondo sembra interroghi le poche erbe riarse, le pietre biancheggianti, l’aria torbida di vapori, il cielo ridente d’una lucentezza abbagliante su in alto per strano contrasto di crudele irrisione, perchè le dicano dove si trova, come sia lì, che misteriosa trasformazione avvenne in lei, mutata
in un essere così materiale e pesante e volgare, quale sente di trovarsi ora. Il volto, dalle linee sempre artistiche, aristocratiche, ha tuttavia una espressione terrena, in contrasto con esse, ed è tutto atteggiato ad un sorriso disperato che fa senso. Un particolare che dà la chiave dell’accaduto anche ai meno penetranti: un’ala spezzata e tutta pesta, si raccoglie, intrisa e gocciolante di sangue, lungo la persona; l’altra ala è affatto schiantata dalla scapola destra, lasciando visibile una enorme cicatrice livida e palpitante per spasmodico dolore. Evidentemente ci troviamo innanzi ad un Angelo caduto....

Il Baronetto di Blackbird lo sa, che la tela gelosamente custodita nel suo salottino e sottratta all’occhio di qualunque indiscreto, esprime questo concetto; lo sanno gli intimi che l’hanno veduta; lo sa l’artista che ebbe incarico di dipingere quel quadro. Ma il Baronetto se anche di più: che quel concetto originale, fissato così al vivo nella materia, non è una semplice idealità carezzata nella febbre di una visione, d’un sogno, da un’anima d’artista; bensì l’eco d’un dramma realmente accaduto. E ancora, quel dramma non finiva lì, come tuttavia si ostinava a credere il proprietario del quadro; un’ultima fase si andava svolgendo tutt’ora, ma chiusa nel più impenetrabile mistero; la tela era una rappresentazione incompleta di tutta una sciagura degna di lacrime di sangue.

Il fatto risale a pochi anni fa, e precisamente ai mesi estivi del 1903. In quell’anno il castello di Blackbird, dopo una serie di feste, di partite di caccia, di divertimenti, di soggiorni indimenticabili di ospiti illustri, che vedevansi tutti gli anni al ricorrere della Stagione1, d’improvviso era piombato nel lutto e nel silenzio per la morte del baronetto sir George. L’erede non era in patria al tempo della morte di suo padre, perchè proseguiva un suo viaggio in India. La vedova, nel più assoluto isolamento, non rifiniva di piangere l’immensa sciagura che le era toccata ancor così giovane, e vivea ritirata, quasi in un ambiente monacale, noncurante della salute votata a lento struggimento, tanto che ogni giorno più deperiva a vista d’occhi, e gli spiriti si affievolivano in una tristezza infinita, e tutto faceva presagire le più serie conseguenze se non si provvedeva ad arrestare quegli eccessi inconsulti d’una dimostrazione di dolore sconfinante dei limiti del ragionevole.

Parenti e amici suggerirono più d’un mezzo; e, tra altro, la compagnia di persona che fosse più accetta alla dolente, perchè vedesse di distrarla, di alleggerirle l’ambascia, mitigare il dolore che non accettava conforti. Tra molte persone che sarebbero state indicatissime per così delicata missione, la baronessa finalmente acconsentì di nominare la sua preferita: miss Daisy Keatinge, lontana parente, che un’educazione rigidissima, e un po’ anche l’inferiorità di condizione sociale, avevano tenuto in disparte nei giorni della prosperità.

La prescelta contava allora ventun anni, e vivea coi

  1. Ossia la parte culminante del tempo di speciali sollazzi pubblici casalinghi e individuali; cioè, da dopo Pasqua a dopo Pentecoste; il qual periodo di divertimenti, sarebbe il Carnevale inglese.