Vai al contenuto

Pagina:Il buon cuore - Anno IX, n. 40 - 1º ottobre 1910.pdf/4

Da Wikisource.
316 IL BUON CUORE


si usavano meno di 5 kg. di burro al giorno per 85 persone.

Nelle famiglie borghesi si faceva colazione con un biscotto da 15 centesimi o con un pane pepato d’ugual valore. Per il popolo, poi, cavoli bolliti erano cibo bastevole perchè ne poteva e ne aveva a soddisfazione; ma dopo il rincaro dei viveri, verificatosi nel secolo XVI anche la quantità fu ristretta. La gran massa di cittadini non conosceva i progressi d’una cucina privilegiata, i cui elementi principali erano inaccessibili alla sua borsa.

Ma la storia ricorda con simili pasti certo frugali, lussi e grandezze gastronomiche nell’età di mezzo, che trovano solo riscontro nei pasti pantagruelici e nelle orgie del ventre in uso presso i romani. Cosimo III, con inaudita profusione da varie provincie e perfino dall’Egitto e dall’America, fece venire persone addette al servizio di Corte, con lo scopo di poter radunare tutto ciò che di rado e di squisito esisteva a quei tempi. Nè badò a spesa per avere a Firenze i più ricercati prodotti di qualsiasi parte del mondo. La sua mensa destava l’ammirazione e lo stupore dei convitati. Si diceva amico dell’astinenza, ed affinchè i sudditi la praticassero, li teneva nella miseria: ma egli mangiava così strabocchevolmente che si pesavano alla sua presenza i capponi e come non erano di 20 libbre il paio (circa 7 kg.) non erano per la sua bocca. Per lui, afferma un cronista dell’epoca, si allevavano tutte le altre specie di animali, sì domestici che selvatici, di straordinaria qualità e si manipolavano dolci e liquori dei più squisiti. Tutte le rarità volle gustare; fu consigliato, per dimagrare, a prendere alcune medicine ma gliene venne un tal male che stette per perdere tutte e due le gambe.

Alle spese pazze per la cucina bisogna aggiungere le profusioni di denaro, per la smania di apparire uno dei più ricchi e generosi principi viventi ed in verità con Cosimo III, corse la voce che a Firenze si guazzasse nell’oro e la Toscana fosse il più ricco stato di Europa. Ma come era falsa quella credenza! La Toscana era esausta e dissanguata ed il popolo detestava il suo principe il quale, caduto ammalato, mandò ai dilettissimi sudditi il suo ultimo bando che aumentava le tasse di un altro cinque per cento.

IL RE DEGLI ANIMALI


Qualcuno asserisce che sia il leone, il quale tutt’al più può essere l’«animale re»: i più pensano che il titolo di re degli animali spetta invece all’uomo che li domina e li asservisce. E, se ciò è vero, a chi meglio che ad altri spetta tal titolo, se non a Carlo Hagenbeck, il domatore di fama mondiale, creatore del grande parco di Stellinger presso Amburgo, e iniziatore del parco che si sta formando a Roma a Villa Borghese?

Carlo Hagenbeck è nato tra le belve: in sessantasei anni ha visto circa mezzo milione di belve: e non ha mai avuto paura: egli stesso narra che il momento più terrorizzante della sua vita fu quando un expres a tutta velocità lo sfiorò appena e gli fece sentire il brivido
della morte vicina. Tutto il suo segreto di domatore sta, secondo lui, in questo: che egli si guarda bene dallo spaventare le belve: lo scudiscio, i colpi di rivoltella, i cerchi di fuoco, le urla, le punzecchiature, sono bandite dal suo sistema educativo: e i risultati, non c’è a negarlo, sono stati eccellenti.

L’Hagenbeck asserisce che le bestie non gli sembran feroci. Gli uomini — egli afferma — mi hanno fatto del male, le bestie mai. Ed egli si guarda bene dallo stuzzicare le belve, che tratta invece amorevolmente, e doma senza mai usare scudiscio.

Per verità occorre dire che dal suo fisico emana come uno strano fascino: in Inghilterra lo hanno paragonato a Kruger, e in America a Lincoln per le fattezze del volto, ma egli ha di suo quell’insieme di qualità che ne fanno il primo domatore del mondo; ne è persuaso egli stesso e se ne compiace quando nella sua vigoria robusta di uomo quasi sessantenne, vibra dagli occhi la luce strana di un fascinatore. Il gesto imperioso, lo scatto elastico di tutto il corpo, lo sguardo invincibile, la bocca che par fatta per mordere, caratterizzano l’uomo: i denti bianchissimi e robustissimi, la bocca rasa, la barbetta bianca che gli corona il volto dalle tempia fin giù al mento, i capelli grigi, lisci, ben pettinati fin dietro la nuca ne completano il fisico.

La carriera dell’Hagenbeck incominciò quand’egli ancor giovanissimo incominciò a coadiuvare il padre nel commercio delle fiere: a ventun’anni egli poteva vantare esperienza matura nell’educazione e nel commercio delle belve. La casa Hagenbeck riforniva da Amburgo parecchi giardini zoologici e così Hagenbeck intraprese frequenti viaggi nel Sudan per procurarsi la preziosa e pericolosa merce.

Mai l’Hagenbeck partecipò a caccie di bestie feroci: egli per principio non uccide belve, ed anzi ama dar loro tutto il benessere compatibile collo stato di schiavitù in cui devono trovarsi a servizio dell’uomo. E queste idee gli hanno valso una fortuna. A ventun’anni il padre suo gli aveva affidato la sua sostanza, 30,000 marchi, dicendogli: — Fanne buon uso, perchè, se perderai questo denaro, dovrai fare il domatore. Tre anni dopo l’Hagenbeck possedeva già un milione. Infatti la vista degli animali in libertà gli aveva dato l’idea del gran parco degli animali che egli creò a Stellingen presso Amburgo e che è una vera specialità della Germania. Il parco in cui gli animali vivono allo stato libero misurava nel 1907 quattordici ettari di terreno, ed ospitava duemila animali d’ogni sorta: aveva un milione di visitatore all’anno e valeva su per giù dieci milioni di marchi.

Ciò non toglie che il ricco proprietario non abbia voluto rinunciare alla innata passione per le belve: egli fu e rimase domatore fino al giorno in cui gli giunse, intempestivo, un divieto della moglie. Una tigre, dolcissima come le altre, al dire dell’Hagenbeck, era maltrattata da un custode, ribelle al sistema d’amore inaugurato dall’Hagenbeck. Un giorno la belva si rivoltò al custode, e lo assalì; accorse l’Hagenbeck che riuscì a salvare il custode, ma ricevette una zampata sul capo che gli lasciò quattro cicatrici. Dopo quel giorno la si-