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IL BUON CUORE 351


Egli non si preoccupa dell’autorità, della sovranità dell’imperatore romano; i Farisei sì. Che essi siano più devoti, più religiosi di Gesù? Oh, no!

Gesù ha un ideale molto alto, molto sublime della sovranità di Dio; sa che nessuna sovranità umana la può offuscare, perchè essa tutte le trascende e non si preoccupa di Cesare.

I Farisei han fatto di Dio un re simile ai re della terra, hanno abbassato all’uomo il concetto della divinità e ogni re è per essi un rivale di Dio!

Quante riflessioni porta con sè questa meditazione!

E come la storia profonda si ripete sempre nel mondo!

Ancora: Gesù ha un’idea larga, disinteressata della gloria di Dio: i Farisei vi han legato le loro passioni, i loro interessi. Se si vuol difendere la causa di Dio, della religione, della chiesa, bisogna esser puri, sereni, oggettivi. Non confondere una causa santa con i nostri privati entusiasmi o personali rancori.

Se chi parla in nome della verità ne parla degnamente, da apostolo, disinteressatamente egli è ascoltato ed accolto; ma se solo si sente la preoccupazione di far avanzare un partito, di custodire un privilegio, di curare il proprio benessere.... egli non raccoglie, ma distrugge, egli semina vento e raccoglie tempesta.

Ricordiamo tutto ciò, ogni volta che anche noi parliamo della verità, della fede, le ricordino soprattutto quelli che dell’apostolato hanno il dovere preciso....

Gesù aveva la coscienza d’essere il Messia eppure non disse mai una parola per acquistarsi il regno, per proteggere la sua dignità. Nulla più di ciò ci rivela l’intima anima di Gesù. Egli sapeva che l’onore, la gloria, la felicità sono da Dio e non dall’uomo e si dava tutto alla sua missione, far bene a tutti, lasciando la cura della sua felicità, della sua gloria e del suo onore al Padre celeste che, solo, conosce i tempi e i momenti.

Oh, se anche noi fossimo più preoccupati di far bene che di star bene! Invece noi ci affanniamo per fabbricare la nostra felicità.... ma verrà la morte, vedremo la vanità di tutte le cose, di tutti i nostri sforzi e la nostra stoltezza!

Dopo la morte non rimane che la virtù!

La nostra felicità non dipende da noi, ma da un intervento di Dio.

Noi non possiamo che essere virtuosi, che essere buoni.

Gesù è passato facendo del bene, guarendo i malati, preoccupato solo della sua missione, abbandonando la cura della sua gloria al Padre.... Sulla terra egli fu crocifisso, e pareva che tutto fosse finito.... e noi siam qui, invece, che lo riconosciamo Signore dei secoli.

Imitiamo Gesù, dedichiamoci q,1 bene, facciamoci buoni, non preoccupiamoci d’altro e lasciamo la cura della felicità nostra al Padre.... noi avremo giorni di letizia, avremo giorni di pianto quaggiù.... ma la virtù nostra avrà un premio e la gloria di Gesù sarà la gloria nostra!



Giuseppina Ferrario Gorla.


Rapida e inattesa, quindi assai dolorosa, la dipartita dell’ottima signora Giuseppina Ferrario Gorla, che ha lasciato nel pianto l’amatissimo marito — l’egregio cav. dott. Giuseppe Ferrario — la diletta, intelligente figlia Maria e tre figli carissimi.

I funerali riuscirono una eloquente, affettuosa, sincera manifestazione di cordoglio. Un lungo, interminabile corteo, che aveva la caratteristica non comune di una severa mestizia, una quantità di bellissime corone inviate da famiglie amiche, e parecchie rappresentanze d’istituzioni di beneficenza, nel loro muto linguaggio, parlavano alto delle virtù domestiche e sociali della soave creatura da tutti rimpianta.

Sulla facciata del tempio di S. Francesco da Paola, tra drappi funerei, spiccava la seguente epigrafe: — Il marito i figli i parenti — invocano dal Cielo la pace — all’anima eletta — di — Giuseppina Ferrario Gorla — moglie e madre esemplare.

Porgiamo le nostre sentite condoglianze ai superstiti, e completiamo questo cenno colle affettuose parole di un’amica.

C.


Ella passò, lasciando dietro di sè, come ricordo ed esempio, un fascino di serena dolcezza, di soave bontà, d’indulgenza infinita. È privilegio delle anime elette sparger sulla terra gentilezza d’amore; è privilegio delle anime forti non lasciar che nessuna emozione possa quell’amore turbare giammai. Io lo pensavo e lo dicevo a Maria: «Come dev’esser buona la tua Mamma, sempre così benevola con tutti!»

In Lei — nella cara così rapidamente tolta alla terra — si attuava, a’ miei occhi, la parola geniale di un santo: «La gentilezza è il fiore della bontà». E infatti la bontà gentile di Lei fu il fiore costante dell’anima sua. Perciò al suo ricordo io son sicura debba rimanere congiunta un’impressione di dignità e di mitezza.

Qual tesoro migliore può lasciare quaggiù — dove tanto si dolora e si geme e dove arde sempre tanta guerra — una creatura? Qual conforto più santo,, più cristiano? Oh, ch’Ella sia benedetta! Che le parole sue buone, i suoi atti di virtù, di tenerezza sapiente accrescano ora la sua corona immortale, la sua eterna benedizione! Quella benedizione che si vedeva, come celeste riflesso, nella calma, nella compostezza della Cara che riposava sul suo letto di morte....

I volti pensosi dei figli, la loro sofferenza viva, la loro espressione riverente dinanzi a quella salma, soprattutto l’aspetto del povero vedovo, reso venerando dal dolore profondo, dicevano con eloquenza la grandezza dello strazio per la dipartita dell’eletta creatura, che su tutti aveva una grande potenza d’amore.

Ancora una volta: — Ch’Ella sia benedetta; che il suo spirito vigili su’ suoi cari come una protezione celeste!

Un’amica.





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