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IL BUON CUORE 363


ciò che pensi e non ciò che pensa il gran pubblico; tu non descrivi mai le interiora della donna tagliata a pezzi, tu cerchi di persuadere e di guidare, non di fare il caudatario e il magot chinese che, a dargli un buffetto, dice di si per un quarto d’ora.

«Tu sei un falso rassegnato, amico mio. Lascia che ti stringa la mano». {{A destra|margine=1em|Tournebroche.

AMOR VERO


RACCONTO


(Continuazione e fine, vedi numero 44).


— Oh! sì, la salveremo!

— Rreghiamo.

— Preghiamo.

E salutata la Suora, salì da Clotilde.

Tutti i giorni, alla medesima ora, si vedeva l’uffiziale incamminarsi verso casa Delrio. Stava a lui provocar nell’inferma quel momentaneo ritorno alla vita, senza il quale la guarigione radicale non era sperabile. Certuni ne dubitavano, ma Rodolfo tenea sicurissimo che il viaggio alle acque salvatrici sarebbe stato, un dì o l’altro possibile. La sua speranza si trasfondeva in Clotilde, che pareva rinascere. Sciolta ornai da qualunque inquietudine, vedendo contento il tutore, lieto il fidanzato, non udendo che parole di speranza, proteste di affezione, la sua bell’anima, sì lungo tempo oppressa, si espandeva liberamente in quel nuovo aere, e sicchè ne stava meglio anche il corpo.

Un dì Rodolfo la trovò che passeggiava nei viali del giardino senza un braccio che la sorreggesse, e seppe che già da un’ora continuava quell’esercizio. E ricordando le parole del dottor Gradi, la prese per mano e le disse:

— Clotilde, in questa settimana bisogna partire.

In certi momenti questa idea del partire dava alla giovane una cupa malinconia. Faceva prova di distrarsi, si sforzava di sperare, ma in realtà non si sentiva guarita, e l’idea di morire lontana dal luogo nativo, lontana da Rodolfo, la faceva rabbrividire. Udendo ora quelle parole così risolute che le intimavano la partenza, ne fu terribilmente colpita. Sentendosi venir meno s’assise, e si coperse con ambe le mani la faccia, onde celare le lagrime che scorrevano suo malgrado.

A una voce di Rodolfo era accorsa la famiglia, e le stavano attorno tutti mesti e rannuvolati. Quel presentimento, quel pianto, quella fiacchezza ancor così grande facevano pensare che la meschina non isfuggirebbe alla morte, a quella crudele che accenna talvolta di abbandonar le sue vittime per poi piombarle sul più bello delle speranze nelle tenebre del sepolcro.

Allorchè Clotilde sollevò la testa e vide sugli altrui volti il doloroso effetto del suo piangere, si sforzò di sorridere.

— Perdonate, disse: io sono una pazzerella e, che è peggio, ingrata a Dio. Ma non posso in modo alcuno vincere questo terrore che mi mette nell’animo il pensiero di dover presto morire, e morire, o Rodolfo, lontana da te. E arrestò in faccia a Rodolfo. gli occhi umidi ancora.

Questi, a dir vero, era stato assai volte tormentato anche lui dall’idea d’una lontananza che poteva essere eterna. Quantunque vasta sia la scienza d’un medico, vi sono pur casi ne’ quali egli non può rispondere nè anco dell’effetto da lui presagito. Se la guarigione era

possibile, non poteva essere che a Vichy; ma restava pur sempre l’incertezza d’ogni giudizio sull’avvenire pronunziato dalla parola dell’uomo. Separarsi in un tal momento, vivere l’un dall’altro lontani quando l’una delle due vite a un menomo soffio può spegnersi, era, bisogna dirlo, per quelle due anime, unite da un affetto sì forte e sì puro, un gran sacrifizio.

Rodolfo, stato lungamente pensoso, d’improvviso si levò e quasi illuminato in faccia da una rivelazione celeste, disse:

— Mi balena alla mente un’idea. Sarò io libero di effettuarla?

E guardava i Delrio. Questi fecero col profondo chinar del capo un gran segno d’assenso.

— Uditemi dunque: Fra otto giorni io e Clotilde partiremo per Vichy e partiremo maritati.

E poichè tutti lo guardavano in viso onde vedere se diceva da senno:

— Si, maritati, ripeteva a Clotilde, io non posso lasciarti, voglio avere il diritto d’accompagnarti a Vichy, voglio assistere ora per ora alla tua risurrezione.

Questo disegno, a prima giunta sì strano, in realtà era l’unico che potesse acquetare i terrori di Clotilde, il meglio pensato per assicurare l’effetto delle acque salutari. L’unico che avrebbe avuto un vero interesse ad opporvisi era colui che lo proponeva.

— E s’io muoio? domandò Clotilde con un accento che diceva come questa paura fosse per dileguarsi.

— E se tu muori, tu morrai mia; il mio lutto farà testimonianza a tutti del mio dolore.

— Oh Rodolfo! Tu sei troppo buono e troppo mi ami per dover temere che Dio non esaudisca i tuoi voti! Fa pure di me quel che meglio ti piace.

E tutti e due si risolsero in lagrime.

Grandissimo fu lo stupore di tutti, quando si diffuse per la città la voce di nozze tali. Pur troppo non si sanno immaginare dai più i sacrifizi ond’è capace l’amor vero, l’amore cristiano. Sposare una moribonda, che è a dire, acquistare il diritto d’esserne l’infermiere e forse il seppellitore, era cosa che passava i termini e teneva o del pazzo, dice vasi, o dell’eroico. Non ci si voleva credere, ma bisognò bene arrendersi all’evidenza.

S’era alla vigilia della partenza; le nozze dovevano celebrarsi il domani per tempissimo; e molti, più curiosi che discreti, s’erano proposti di godere di sì nuovo spettacolo. Ma mentre la gente cominciava a spasseggiare nella via, gli sposi, traversando un giardino attiguo, entravano per una porta segreta nella cappella interna delle Figlie della carità. Suor Marta era sull’entrata a riceverli con un viso proprio da festa.

Era un ridente mattino d’estate; il sole inondava di luce i viali per cui passava il corteggio; da’ rami, dall’erbe, dai fiori usciva quasi un’armonia, dappertutto si espandeva la vita e la pallida vergine ne pareva ravvivata anche lei e quasi rinata nella sua antica beltà. La delicata persona aveva ravvolta entro un lungo burnous di casirniro bianco, che mentre lasciava spiccare l’eleganza delle forme, ne celava l’estrema macilenza; sotto il velo e la corona bianca luccicavano al s&e le trecce nere, e gli occhi grandi, vellutati, nerissimi si volgevano sotto le lunghe palpebre sempre splendidi e appassionati. Ma il giallore della pelle: il pallor delle labbra, il muoversi affaticato della persona troppo dicevano che quell’apparente miglioramento era dovuto più alle commozioni del momento che al ritorno della salute.

Uscita di chiesa, mutò il candido vestimento di sposa con un semplice costume da viaggio, e due ore dopo giungeva alla stazione, accompagnata dal tutore e dal marito, sul cui braccio si lasciava cadere. I curiosi, indispettiti, s’erano recati ad aspettarla colà.

Tostochè comparve, abbattuta da tante scosse, sorretta dal marito, si diffuse nella folla un mormorìo generale di compassione.