Pagina:Il buon cuore - Anno IX, n. 50 - 10 dicembre 1910.pdf/5

Da Wikisource.

IL BUON CUORE 397


ha trovato mancante, perchè nel lavoro del Rinuccini riscontrò un romanzo e non una storia, per quanto il fondo storico ci sia senza dubbio.

Veramente il primo colpo gli venne dalla caduta del romanticismo letterario; o meglio, da quel manierismo esagerato, affettato, svenevole, tutto artifizi, immaginose trovate, che non ebbero mai una realtà se non nella fantasia capricciosa del biografo, non già nella vita del Cappuccino Scozzese. E si sa, oggidì questo genere di letteratura non passa certo un buon quarto d’ora. Il convenzionalismo, il romantico ed il poetico, se sempre, oggidì anche più male si accoppiano ad un fatto storico, oggidì in noi è tanto sviluppato il senso di naturalezza, di semplicità, di verità, senza fronzoli e senza oratoria.

La critica ha fatto il resto col voler vedere quanto di vero ci fosse nell’affacinante racconto, o nel pio romanzo. E purtroppo trovò che la vita di P. Arcangelo non risponde affatto a date, a possibilità di incontri con certi personaggi che durante il suo soggiorno in

territorio inglese, erano certamente assenti; che il castello di Monysmusk non fu mai in possesso dei Leslie, che P. Arcangelo non già si fece frate in Italia, ma nelle Fiandre nel 1608 ecc. Nel 1891 Mr T. G. Law pubblicava poi una anche più decisiva demolizione del Cappuccino Scozzese per quanto basata molto sui giudizi già portati dal colonnello Leslie. E nel Dictionary of National Biography del XXXIII vol. M. Thompson Cooper dice della vita nel nostro cappuccino che «i fatti in essa registrati sono quasi tutti immaginari» e che «la Leggenda venne completamente demolita dal Law». L’ultimo colpo infine gli veniva dalla penna arguta e piena di innocente malizia ma senza fiele, del famoso critico P. Thurston nel fascicolo dell’agosto 1908 del The Month, che è la Civiltà Cattolica dei Reverendi Padri Gesuiti d’Inghilterra. Il qual Padre, giustamente si mostra indignato di questo genere di letteratura agiografica, così poco in armonia coi gusti moderni e col rispetto dovuto al pio lettore, così nocivo alla buona causa. A promuovere il bene non occorre proprio torre

ad imprestito da penne romantiche quel meraviglioso edificante ed eloquente, ma storico, che nel Cristianesimo non ha mai fatto difetto.

Ed ora passiamo all’altro Cappuccino, stato presentato esso pure agli Inglesi da uno scrittore italiano, che era un po’ meno credulone e romantico e non naturale di quel buon Arcivescovo di Fermo, il Rinuccini. E quest’altro Cappuccino è il notissimo Padre Cristoforo dei Promessi Sposi. Si sa che il romanzo celeberrimo venne in luce nel 1825-26, e subito tradotto e pubblicato nelle principali lingue europee; quindi anche in inglese — The Betrothed lovers — edito la prima volta nel 1828 a Pisa nientemeno; poi a New-York, nel 1845, poi a Londra nel 1872 e nel 1876.

Vuoi per il nome dell’autore, vuoi per il rumore fatto attorno al romanzo, oppure in grazia dei boni rapporti tra Manzoni e Walter Scott, o meglio per le stupide accuse mosse al poeta lombardo, come quello che avesse scritto sulla falsariga dell’Ivanhoe del romanziere scozzese, oppure per altre ragioni, il fatto è questo, che in Inghilterra il The Betrothed lovers ebbe una grande diffusione. Quando si pensi che capitò anche nelle mani

di uno il quale alla letteratura romantica aveva dedicato un’antipatia che rasentava l’odio, come è chiaro da uno dei suoi Parochial and plain Sermons, e per il tempo prezioso che ci ruba, e perchè svisa la realtà delle cose, e perchè eccita a cupidigie folli irrealizzabili e perchè è di una esasperante vacuità, frivolezza, verba, verba, ebbene il fatto che il Promessi Sposi capitò anche nelle mani del Reverendo Enrico Giovanni Newman, ci dice tutto. Ora quell’austero, tuttora ministro anglicano, e se non arrabbiato nemico di cose cattoliche, certo deciso con tutto il garbo e la dignità a tenersene al largo, il Reverendo Newman che poi doveva farsi cattolico, e religioso Filippino, e venir innalzato all’onore della Porpora, fu attratto esso pure verso il capolavoro manzoniano, e lo lesse. Naturalmente, se nessuno degli elementi del romanzo gli dovette sembrare trascurabile, tuttavia la sua maggiore attenzione ti fissò sull’elemento religioso e il più pronunciato. Ma tra tutti i personaggi, quello che gli piacque di più, lo affascinò di più colla sua incomparabile bellezza morale, ed ebbe un’accoglienza nel suo cuore, nel suo pensiero scrutatore e misuratore di grandezza