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IL BUON CUORE 149


Educazione ed Istruzione

L'ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE

e il Card. FERRARI.


Impossibile al nostro giornale torna l’esporre e il seguire tutti gli avvenimenti che accompagnano il grande avvenimento dell’Esposizione. Non vogliamo però tralasciare di ricordare un fatto, che destò in noi in tutta la cittadinanza un senso di gradita soddisfazione; intendiamo l’invito rivolto a Sua Eminenza l’Arcivescovo e il suo intervento all’inaugurazione dell’Esposizione ed alla posa della prima pietra della nuova Stazione Centrale, accompagnata quest’ultima colla solenne liturgica benedizione. Prima della benedizione, in seguito ai discorsi del Ministro Carmine e del sindaco Ponti, fece un discorso anche l’Arcivescovo. Come significato e come contenuto, il pubblicarlo è per noi a un tempo gioia ed onore.

          Maestà!

È sommamente degno di encomio che ad inaugurare gli inizii di questo edificio siasi chiamata la religione: quella religione, quella fede che il grande milanese del secolo XIX, specchiando veramente i sentimenti non pure de’ suoi concittadini, ma di tutta la cara patria italiana, chiamò bella, immortale, benefica sempre, come ai trionfi avvezza; quella religione che parla e prega e parlando insegna e pregando implora grazie e benedizioni dall’Alto.

La religione, per bocca del sacerdote e cogli accenti della sacra liturgia della Chiesa, parlerà in questo momento alla Augusta Vostra presenza, ricordando come da Dio ha principio, sia pure per mezzo degli uomini, ogni opera buona, e da Dio ha il suo progresso del pari che il suo compimento. La religione prega ed in quella pietra benedetta e cosparsa dall’acqua lustrale, che per le Auguste Vostre mani, o Sire, sarà collocata a fondamento di un grandioso edificio, deporrà il pegno dei celesti favori. E qui faccio plauso, reverente e sincero, all’una e all’altra festa di ieri di oggi; feste del lavoro, dell’industria e del commercio, e, dirò di più, della fratellanza universale; rendo omaggio alle Maestà Vostre e porgo il mio ossequio agli illustri signori, che Vi fanno corona, pieno di ammirazione e di gratitudine, particolarmente per la illuminata e generosa costanza di quelli che seppero preparare si lieti avvenimenti. Ma sopratutto un voto mi esce spontaneo e sincero dal cuore e dal labbro ed è che anche nel tempo avvenire, quanti per questo luogo giungeranno alla metropoli lombarda, nulla abbiano a portarvi, che non sia giusto e buono; quanti da qui ritorneranno alle loro regioni possano narrare non solo del benessere materiale e della tradizionale ospitalità di Milano, ma anche di quelle virtù cristiane e civili, indispensabili a conservare veramente grandi e degne di onore una città ed una nazione. Milano più volte oramai ha accolto rispettosa e plaudente le Vostre Maestà, ed in un breve giro di mesi intenerita Vi accolse reduci da viaggi pietosi: da questo luogo ancora e per lunga età Vi rivegga entrare nelle sue vie Milano, riverente e festosa.

Il principe degli Apostoli tracciò brevemente la vita onesta e virtuosa dicendo: Omnes honorate, fraternitatem diligite, Deum timete, Regem honorificate! Avvenga ognora che chiunque avrà conosciuta Milano abbia a dire: Lode a Milano per i suoi incessanti progressi nell’industria, nelle scienze, nelle lettere e nelle arti; ma più ancora lode a Milano che sovratutto sa mantenere
fedelmente il programma del vivere virtuoso ed onesto, che dà i frutti giocondi della tranquillità e della pace. “ Rispettate tutti, amate la fratellanza, temete il Signore, rendete onore al Re, „ riguardandolo come investito di quella potestà che viene dall’Alto.

Questo discorso, che ebbe la generale approvazione, ha dato occasione ad alcuni giornali di risollevare assai inopportunamente la questione della laicità dello Stato.

Il Secolo, e non è neanche il più spinto fra i giornali che trattarono la questione in tal senso, in un articolo di fondo del 2 corrente, col titolo Cardinale e ministro, scrive che l’Arcivescovo dicendo al Re che la sua podestà viene dall’alto, in altra forma ha ripetuto quanto diceva Gregorio VII: «Dio (e il suo vicario il Papa) è il sole, il re è la luna la cui luce deriva da quella dell’astro maggiore».

E prosegue con quest’altro commento: «Secondo il diritto pubblico d’Italia il re è l’eletto dai plebisciti, vale a dire dalla nazione che è la suprema autorità che assegna i poteri. Anzi è canone di democrazia che la nazione che conferisce i poteri li può anche ritogliere, e la forma di governo proclamata dai plebisciti può essere da altri plebisciti cambiata quando la volontà della maggioranza si pronunciasse per un mutamento».

Questa esposizione di principî sociali viene fatta come se fosse in contraddizione colla frase detta dall’Arcivescovo che la podestà del re viene dall’alto.

Ora, secondo la dottrina cattolica tradizionale, il vero è precisamente il contrario. La dottrina cattolica ammette che l’autorità sociale sia rappresentata da un re o da un presidente di repubblica, viene mediatamente da Dio, immediatamente dalla società.

Viene mediatamente da Dio, perchè Dio ha creato l’uomo e la società, e creando la società ha creato l’autorità sociale, condizione necessaria perchè la società viva e si conservi.

Viene immediatamente dalla società perchè è la società che designa la forma di governo e le persone investite del potere. L’Arcivescovo dicendo che l’autorità del Re viene dall’alto, non esclude che l’autorità del Re venga dalla nazione; anzi, suppone e afferma che viene dall’alto, appunto perchè viene dalla nazione: è per mezzo della nazione che Dio stabilisce la forma di governo e designa le persone che devono esserne investite.

Ben inteso che la nazione deve agire in modo conforme alla ragione, non per capriccio o colla violenza. Quando vi siano giusti motivi, e la morale cattolica enumera questi motivi, la nazione che ha scelta una forma di governo, che ha designata la persona investita del potere, può mutare forma e persona. Lo può, e più d’una volta lo ha fatto.

Il Governo italiano e il Municipio di Milano, invitando l’Arcivescovo alla inaugurazione dell’Esposizione, fatto cittadino, ed alla posa della prima pietra della nuova stazione centrale, fatto governativo, pur seguito dalla benedizione, non hanno punto abdicato al proprio carattere di autorità suprema nel proprio genere;