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28 IL BUON CUORE


la puerizia il massimo interessamento, dedicando alla stessa numerose ed importanti istituzioni.

Ricordo il quadro di un pittore inglese. Rappresenta una via popolosa di Londra, nel cuore della City, in un’ora di traffico intenso; passano al trotto lunghe file di pesanti carri, di vetture d’ogni specie; ma un piccolo fanciullo ha accennato a traversare la strada, il policeman di guardia alza il tradizionale bastoncino e per un istante quel vorticoso movimento si arresta, e in mezzo alla via rimasta sgombra solo, sicuro, passa il piccino. «Sua Maestà il bambino» è il titolo del quadro, ed esprime ad evidenza tutta la gentilezza del costume anglo-sassone.

E noi vediamo un nobilissimo popolo, che pel suo valore stupì in questi ultimi anni il mondo, di civiltà raffinata e remotissima, il popolo giapponese, aver sempre avuto pei bambini un ammirevole culto. Basterebbe rammentare che tra le numerose feste nazionali, che questo popolo celebra per secolare tradizione, speciale importanza hanno quella dei bambini in maggio, in cui i maschietti vengono iniziati alle virtù civili, alla venerazione per gli antenati eroi, e quella delle bambine in marzo, la gran festa delle bambole, che risale al sesto secolo avanti Cristo. L’infanzia è il periodo della vita più felice al Giappone, e lo dimostrano segni esteriori; il bianco, che è pel giapponese il colore del lutto, non è mai portato dai ragazzi, e mentre gli adulti indossano vesti di una tinta grigiastra uniforme, il rosso è il colore preferito pei bambini, ed il Kimono delle bambine si adorna con ricami variopinti e fantastici di fiori, di foglie, e di uccelli.

L’importanza somma del rispetto che è dovuto ai fanciulli fu già compresa dalla sapienza romana, e Giovenale nelle Satire con tacitiana sintesi scriveva: «Maxima debetur puero reverentia» — la massima riverenza è dovuta al fanciullo — mirabile sentenza, che riassume un’intiero programma di educazione infantile, e che perciò accanto alle parole del Vangelo volli scritta sulla fronte di questo edificio.

Primi ad aver questa grande riverenza pel fanciullo dovrebbero essere i genitori; con dolore dobbiamo però assai sovente constatare come taluni si prendano ben poca cura dei loro figliuoli, non occupandosene quando son piccini, trascurandoli quando frequentano la scuola, considerata questa troppo spesso non come il luogo sacro dove il fanciullo si istruisce, ma piuttosto un comodo rifugio, che lo allontana dalla casa, nella quale talora riesce d’ingombro. Disse il giureconsulto Marciano: «In parvulis nulla deprehenditur culpa» — nessuna colpa deve attribuirsi ai fanciulli. — Quante volte al contrario ci è dato d’assistere a disgustose scenate di parenti, che per correggere i loro figliuoletti li sgridano con asprezza duramente li maltrattano; quante volte, entrando nelle case o nelle corti dei contadini, e avendo loro rivolto qualche osservazione per un disordine od una irregolarità riscontrata, sentii con rammarico rispondermi: «Hin staa i bagaj» — stolida frase e vigliacca, che vorrebbe essere una scusa ed invece siccome fiera rampogna si ritorce contro i parenti, che non sanno educare e vigilare la loro prole.

Un altro avvertimento vorrei rivolto alle madri, per le quali più direttamente l’Asilo rappresenta un aiuto. Si badi che la funzione dell’Asilo è funzione di integrazione, non di sostituzione all’opera materna; Asilo potrà bensì dare ai bimbi un sicuro ricovero, un’educazione ordinata e sana, uno svago giocondo salutare, ma nessun istituto potrà dar loro i baci d’una mamma, le carezze d’un padre, i sorrisi dei fratellini; e però non dimentichino mai le madri il sacrosanto dovere di occuparsi sempre dei propri figliuoletti, e quando a sera i piccini fanno ritorno a casa, riserbino loro la più festosa accoglienza e li circondino delle cure più affettuose, onde gagliardo ed immacolato si mantenga nel bambino l’amore per la famiglia.

Eccellenza, Monsignore, Signore, Signori!
Prima ch’io ponga fine al mio dire permettetemi ch’io rivolga un pensiero di memore, profondo affetto a mio Padre dilettissimo,
ai miei carissimi Zii, al mio amatissimo Nonno. Alla loro benedetta memoria e specialmente a quella del Padre mio abbiam voluto dedicare questo Asilo, ricordando di quanto amore essi abbiano sempre amato questa popolazione.

Un ringraziamento infine io debbo a quanti coll’opera o col consiglio cooperarono all’erezione di questo edificio, ed in primo luogo all’ottimo amico architetto cav. Carlo Bianchi, che ne tracciò con genialità i piani e con intelletto d’amore ne diresse i lavori.

Ed ora vorrei parlare ai piccoli abitatori di questo Asilo. Non tutti hanno potuto esser oggi presenti; e perciò alla loro minuscola rappresentanza io mi rivolgo e dico loro:

Venite, o bambini; venite ad ammirare questa casa, ch’è fatta per voi; portate fra queste mura la luce dei vostri occhietti scintillanti e l’armonia delle vostre garrule vocine; ed amatelo questo Asilo, amate le buone Suore che vi educheranno, e quando fatti grandi passerete di qui ed altri bambini avranno preso il vostro posto, amateli quei bambini, talchè un’atmosfera d’amore abbia sempre ad avvolgere questo santuario dell’innocenza. E quando le vostre picciole manine si uniranno alla preghiera, e dalle vostre rosee labbrucce si scioglierà un’orazione gradita al Signore, ricordatevi di mia Madre e di me, e ricordatevi anche di tutte queste buone, venerande e gentili persone, perché tutti siamo amici vostri perciò siamo qui oggi convenuti ad inaugurare questa casa dei bambini.

Letteratura valdostana


V’è tutta una fioritura gentile che sboccia qua e là che manda profumi delicati e luci iridescenti; che sgorga armoniosa e pura come il canto delle loro acque cristalline ed eternamente scorrenti lungo i dossi giganti dell’Alpi. Ora sono meste sinfonie poetiche di qualche asceta, pensatore e filosofo, inspirantesi alle bellezze sublimi della natura all’ombra dei campanili e delle vecchie torri, nei lunghi silenzi che avvolgono le loro solitarie dimore. Ora poderosi e geniali studi sulla Flora di un modesto quanto erudito scienziato, che a quei monti accorre appena suonano le vacanze estive; ora gravi e profonde ricerche storiche, geologiche ed archeologiche, su ruderi romani, sul folklore, sui castelli su cento cose, rivelanti un risveglio intellettuale e palese, uno sprizzare chiaro e vivo di noti ingegni, di giovanili sforzi e di tenaci studi.

A questa simpatica e letteraria fiorita aggiunge ogni anno un vigoroso frutto il colto e noto storico, Tancredi Tibaldi. La sua fama di fine e geniale scrittore, in francese e in italiano, è ormai affermata e riconosciuta.

Sono recenti due bei lavori, che al par degli altri dello stesso A., hanno richiesto lunghe e difficili ricerche fra vecchie pergamene rôse ed ammuffite.

Nello studio analitico, I1 trionfo dell’idioma gentile1, il Tibaldi ci fa assistere alle strane e curiose vicende ed all’interessante evoluzione del popolo valdostano, dal I al XX secolo. È noto come i valdostani difendono ed amano la loro «douce langue maternelle» ma ciò che i più ignorano, è come il francese, da loro tanto amato ora, sia stato loro imposto nel 1531 dal duca Carlo II. La ribellione fu allora lunga ed aspra ma a poco, a poco, il linguaggio d’oltr'Alpe, predominò sul latino, diventando universalmente accetto ed accettato.

Il patois, come il francese, si tramandò così attraverso i secoli con religiosa fedeltà nelle patriarcali fa-

  1. Il trionfo dell’idioma gentile, Veilleés Valdótaines, di T. Tibaldi. Edit. Pianca, Torino. — Vendibile anche presso la ditta L. F. Cogliati.