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94 IL BUON CUORE


E a Candia corre, il frate marinaio, iniziando le campagne della squadra ausiliaria: a Candia, a Nauplia e Scio, all’Aicipelago, ai Dardanelli, a S. Maura, a Prevesa, ad Andra, a Carlowitz, sola a portare il sussidio generoso d’un’armata sacra all’asserzione e alla gloria di un’idea. La pace di Carlowitz del 1699 segna la composizione di molteplici conflitti, la soddisfazione di popoli e di sovrani: il pericolo turco è scongiurato: tutte le potenze europee hanno parte nel godimento della rinnovata conquista. Solo la flotta di Roma — fiera e generosa — resta incontaminata signora e serva di un compito di fede e di civiltà adempiuto con purezza di cuore pari all’energia del valore:

«A Roma solamente, dopo tante sovvenzioni e tanti anni di splendida milizia per mare e per terra a beneficio di tutti, non venne nulla. Nè io, conscio della misera sorte gijtata dagli uomini alla modesta virtù, di ciò mi lagno: sì bene correggo l’altrui difetto, e più m’appongo al debito mio di adoperarmi perchè sia salvo almeno l’onore della nostra gente, tanto poco finora ricordata, anzi tanto negletta da ogni altro, che nè un cenno minimo si trova dei nostri nelle più recenti e divulgate storie marinaresche...».

Il P. Guglielmotti traccia, ancora la storia degli ultimi giorni della flotta gloriosa, dalla difesa di Corfù alla dispersione di essa, nel 1800, quando Napoleone trascinava i marinai di Roma contro Nelson: essi restarono eroi pure nella rovina della perduta libertà: perchè — sottolinea lo storico leale — «sotto il braccio di gente straniera, più degli altri dovevano essi scapitare o vincitori o vinti».

E colla caduta cade la storia di lui:

«In somma all’entrata del nostro secolo varcò di nuovo gli alpini gioghi di Bonaparte: fu eletto nelle lagune Pio VII e fece in Roma ingresso trionfale. Ma i nostri marinai e bastimenti non tornarono più dall’Egitto. Dispersi gli ufficiali, distrutti i legni, rotta la tradizione, abbattuta la bandiera, la mia storia è finita».

Non però che la visione della secolare vicenda resti muta ed inanimata sulla pietra fredda della storia: poichè virtù di coraggio e perizia di genio valgono ancora a fecondare- conquiste nuove: e dalla pazienza dello storico e del filologo erompe pura e scintillante la parola italica sovrana e il genio marinaro che a noi fece nostro il nostro mare.

Il «dizionario marino».

Col dizionario marino militare P. Guglielmotti rivendica all’Italia e alla lingua d’Italia la lucida prestanza dei più puri e più belli termini marinareschi, la rapida meraviglia della nostra strategia militare. Ed in lui, l’opera del ricercatore si fa viva ed agente nella predicazione di una magnifica rivendicazione patriottica.

«Dunque più e più mi stringo all’opera pietosa di salvare dall’oblio la memoria e il nome di tanti benemeriti... non tanto per colmare questa lacuna di storia romana, quanto per isvolgere il successivo progresso dell’arte navale in ogni altro paese; e per mantenere nel nostro l’incorrotto deposito delle antiche tradizioni militari di quei gloriosi che vinsero a Lepanto, sempre
osservato e custodito nella marineria italiana. Nè desisterò altrimenti fino all’ultimo, se prima (abolita per sempre la mercantesca e straniera tattica a vento) tra le piramidi del vecchio Egitto e le torri del nuovo mondo, integra la preziosa eredità strategica dei nostri maggiori, non sia compiutamente trasmessa e ricevuta dall’ultimo naviglio da remo al primo bastimento a vapore».

Ad una milizia del mare così rinnovata l’azione è gioia, il combattimento è orgoglio: e così voleva la marina nostra Padre Alberto Guglielmotti, consapevole — non serva — del suo passato, fiduciosa, quindi, nel suo avvenire.

Alle navi italiane che oggi frangono il secolare solco della marina romana, una nave doveva essere sorella: quella intitolata a Alberto Guglielmotti: che tale fu il voto concorde dei marinai italiani quando tredici anni or sono, il loro storico e poeta, maestro e padre, tolse commiato alla lunga vita operosa. Ma se ancora il voto non è adempiuto e se l’anno prossimo — l’anno centenario della nascita del Guglielmotti — esso andrà solennemente rinnovato per desiderio unanime degli italiani, suona ancora, però, l’ammonimento e l’eccitamento che egli, ai suoi prediletti soldati del mare, scriveva a suggello di quella Storia, concepita e vissuta in sessant’anni di operosità meravigliosa:

«Gli esempi di antica virtù, derivati dalle prime fonti nelle pagine della storia mia, condotta principalmente a remo per undici secoli alla difesa della civiltà contro i barbari, meneranno- innanzi a vapore pel tempo futuro quegli eletti spiriti cui da qui innanzi lascio la cura di continuarsi alla medesima stregua nei successi altrettanto gloriosi. Essi, tesoreggiando gli ammaestramenti degli antichi, meglio di me anche sul punto della strategia navale ci diranno: Seguite le orme dei vostri maggiori, maestri che furono di navigazione a tutti i popoli; tenetevi ai vetusti esempi domestici; tornate indietro, se volete andare avanti».

Religione


Vangelo della quinta domenica di Quaresima


Testo del Vangelo.

In quel tempo, era ammalato un tal Lazzaro del borgo di Betania, patria di Maria e di Marta sorelle (Maria era quella che unse con unguento il Signore, e asciugogli i piedi coi suoi capelli, ed il di cui fratello Lazzaro era malato). Mandarono dunque a dirgli le sorelle: Signore, ecco, che colui che tu ami, è malato. Udito questo, disse Gesù: Questa malattia non è per la morte, ma è per la gloria di Dio, affinchè quindi sia glorificato il figliuol di Dio. Voleva bene Gesù a Marta e a Maria sua sorella e a Lazzaro. Sentito adunque che ebbe come questi era malato, si fermò allora due dì nello stesso luogo. Dopo di che disse ai discepoli: Andiam di nuovo nella Giudea. Gli dissero i discepoli: Maestro, or ora cercavano i Giudei di lapi-