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IL BUON CUORE | 117 |
Una traduzione francese dell’Ave coeleste Filium fu fatta dal Corneille, che testimonia il suo deferente ossequio verso l’autore; un elegantissimo ed entusiastico profilo storico gli fu dedidato dall’Ozanam, come illustrazione della sua fervida anima di poeta, e un tentativo di studio sulla sua poesia, comparve nell’ultimo anniversario della sua morte, tentativo al certo onesto, in un’opera nè intera nè seria e che perciò non valse a nessuna esaltazione o diffusione di meriti obliati o mal conosciuti. Pagine di sincera ammirazione gli dedicò pure il Sagette, analizzando il suo più forte poemetto, parole di simpatia hanno per lui tutti i critici moderni: il Carducci lo chiamò il lirico del misticismo, e poeta lo disse il Bartoli; il Gaspary ritenne bellissime le sue produzioni in rima, e superbi parvero allo Chevalier i suoi poemi sulla Vergine.
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Così dunque, almeno in parte, la continuità della tradizione ricordante alcuni tratti della sua fisionomia intellettuale, diversi da quelli già fissati nelle consuetudini scolastiche, non è stata, si può dire, interrotta mai, sicchè la sua fama s’è potuta via via meglio sviluppare e dilatare.
E in realtà, meritava. Perchè se certo ispiratori furono i suoi tempi, è anche vero che un’anima ben disposta e profonda egli portava in mezzo al fervore e al tumulto d’un secolo nel quale l’arte non s’era rifugiata solo in cuore d’un Penitente umbro o d’un fiero esule fiorentino. Ella spirava e raggiava potente d’ogni parte — dal petto degli asceti, dalle avventure dei cavalieri, dai volanti gonfaloni dei liberi comuni, dalle audacie dei guerrieri, dai pinnacoli dei templi, dalle torri merlate dei castelli feudali, e dalle vaste opere dei pensatori d’allora — monumenti grandiosi di scienza di sapienza, in cui fu il germe del nostro rinascimento, la sintesi della dottrina cattolica. Trovatori e menestrelli correvano la Francia, l’Italia e la Spagna a rallegrarvi di canti e di suoni le piazze e le corti, i racconti fantastici di Carlo Magno e di re Artù eccitavano le menti nella esuberanza delle descrizioni e delle passioni, e, in quel bisogno prepotente che tutti agitava di votarsi alla santità d’una causa grande e generosa, che assorbisse le energie prorompenti della vita, moltitudini di crociati si stringevano ancora intorno a principi e monarchi per correre sulle spiaggie ridenti della Palestina, a liberarvi il gran sepolcro: avvenimenti solenni in cui splendono l’eroismo e la poesia del medioevo, e che senza essere una follia infruttuosa fu invece e parve anche al Villemain l’età epica per eccellenza delle nazioni europee. Tempi, così, di ardori eOra di questo secolo che tutto s’avviva e freme sotto i candidi riflessi dell’Umbria francescana da cui venne al mondo un sole grande, e si sparsero intorno le faville animatrici del bene, della pace, della giustizia e dell’amore — di questo secolo è figura sovrana S. Bonaventura. Esso l’abbraccia per quasi cinquant’anni con la prodigiosità dell’opera sua d’insegnante, scrittore, oratore, superiore di Ordine, cardinale, consigliere ed amico di pontefici e di re. Ma — converrà ammetterlo scarsa fu la parte avuta dalla sua poesia nello splendore ch’egli gettò nella sua età, e, per ben altre qualità di mente e di cuore, che non per forti inclinazioni all’arte si vide cumulata tanta larga e concorde simpatia di elogi sul grande italiano del trecento che Lutero chiamava «incomparabile» e Rosmini diceva «universale e sommo».
Ciò non ostante, l’indifferenza che trascurò la sua non troppo modesta opera di poeta è immeritata e colpevole. Esso rivela in lui uno degli aspetti più simpatici — cioè quella tendenza ch’è la sua forma mentale, il carattere e lo spirito che vela e pervade la sua pro-