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IL BUON CUORE 117


Leyser, che ne inserì parecchie nella Historia Poematum et Poétarum medii aevi. In seguito, a parte le moltissime edizioni rifatte sulla vaticana che accolsero tutti i suoi ritmi, e le premure laboriose dei critici per assodarne l’autenticità, essi furono citati o riprodotti nelle molte crestomazie o raccolte di versi di parecchi autori — Fabrizio, Mazzucchello, Quadrio, Tiraboschi, Daniel, Mone, Clement, Du Meril, Blume, Wachternagel, Brewes, Chevalier, Krenzein.

Una traduzione francese dell’Ave coeleste Filium fu fatta dal Corneille, che testimonia il suo deferente ossequio verso l’autore; un elegantissimo ed entusiastico profilo storico gli fu dedidato dall’Ozanam, come illustrazione della sua fervida anima di poeta, e un tentativo di studio sulla sua poesia, comparve nell’ultimo anniversario della sua morte, tentativo al certo onesto, in un’opera nè intera nè seria e che perciò non valse a nessuna esaltazione o diffusione di meriti obliati o mal conosciuti. Pagine di sincera ammirazione gli dedicò pure il Sagette, analizzando il suo più forte poemetto, parole di simpatia hanno per lui tutti i critici moderni: il Carducci lo chiamò il lirico del misticismo, e poeta lo disse il Bartoli; il Gaspary ritenne bellissime le sue produzioni in rima, e superbi parvero allo Chevalier i suoi poemi sulla Vergine.

Così dunque, almeno in parte, la continuità della tradizione ricordante alcuni tratti della sua fisionomia intellettuale, diversi da quelli già fissati nelle consuetudini scolastiche, non è stata, si può dire, interrotta mai, sicchè la sua fama s’è potuta via via meglio sviluppare e dilatare.

E in realtà, meritava. Perchè se certo ispiratori furono i suoi tempi, è anche vero che un’anima ben disposta e profonda egli portava in mezzo al fervore e al tumulto d’un secolo nel quale l’arte non s’era rifugiata solo in cuore d’un Penitente umbro o d’un fiero esule fiorentino. Ella spirava e raggiava potente d’ogni parte — dal petto degli asceti, dalle avventure dei cavalieri, dai volanti gonfaloni dei liberi comuni, dalle audacie dei guerrieri, dai pinnacoli dei templi, dalle torri merlate dei castelli feudali, e dalle vaste opere dei pensatori d’allora — monumenti grandiosi di scienza di sapienza, in cui fu il germe del nostro rinascimento, la sintesi della dottrina cattolica. Trovatori e menestrelli correvano la Francia, l’Italia e la Spagna a rallegrarvi di canti e di suoni le piazze e le corti, i racconti fantastici di Carlo Magno e di re Artù eccitavano le menti nella esuberanza delle descrizioni e delle passioni, e, in quel bisogno prepotente che tutti agitava di votarsi alla santità d’una causa grande e generosa, che assorbisse le energie prorompenti della vita, moltitudini di crociati si stringevano ancora intorno a principi e monarchi per correre sulle spiaggie ridenti della Palestina, a liberarvi il gran sepolcro: avvenimenti solenni in cui splendono l’eroismo e la poesia del medioevo, e che senza essere una follia infruttuosa fu invece e parve anche al Villemain l’età epica per eccellenza delle nazioni europee. Tempi, così, di ardori e
di entusiasmi, che passavano sotto il sole in una luce di gloria e festa, durante la primavera delle lettere e delle arti, e che si rivivono oggi attraverso le folgoranti rievocazioni dei poeti e dei romanzieri. L’itala gente dalle molte vite risorgeva da i detriti del passato, si procedeva in tali fatti e personaggi che la storia non si direbbe atta a ben illustrarli tutti. Innocenzo III, Luigi IX, Francesco d’Assisi, Domenico di Gusman, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino, Ruggero Bacone, Bonaventura di Bagnorea, Bonifacio VIII, Dante, e, di più scarsa importanza, Vincenzo di Beauvais, Enrico di Gaud, Duns Scott, Raimondo Lullo, Alessandro d’Ales, sono le figure per eccellenza rappresentative delle forze intellettuali e morali del secolo prodigioso, e la solenne prova della sua unica situazione di spirito davanti alle età posteriori. Mai come allora, per alcuni rispetti almeno, l’Europa fu convertita in un ampio studio aperto alle muse ed alle severe elucubrazioni della mente. Ed a torto il medio evo fu screditato, a cominciare dagli umanisti, fino all’aspro poeta maremmano, che prima di giungere alla libertà di spirito onde meglio giudicò uomini e cose, la chiamò età nera, età barbara. Fu invece il periodo di elaborazione delle nostre energie, di preparazione cupa e magnanima della nostra rinascita, perchè nelle sue ignorate profondità e nell’enormi produzioni dei suoi maestri si gettarono i germi della vita e del pensiero. Dal giorno che Gregorio VII — «il genio del comando che amancipa e che illumina» piega sotto la forza dei suoi anatemi, le provincie d’occidente ed inflisse al monarca tedesco l’umiliazione di Canossa, d’allora il trionfo del principio religioso e della civiltà cristiana, dettero la più vigorosa spinta alle grandi ascensioni di nostra gente. E la chiesa fu la sua guida: nel suo seno bisognerà trovare le vaste anime che rivelarono il nostro pensiero e lo sorressero per la grandezza dell’avvenire. Essa sola potè allora penetrare nelle solitudini delle coscienze e nelle intimità delle famiglie, ed essere la nobile e costante ispirazione dell’arte, della poesia, della politica e della civiltà.

Ora di questo secolo che tutto s’avviva e freme sotto i candidi riflessi dell’Umbria francescana da cui venne al mondo un sole grande, e si sparsero intorno le faville animatrici del bene, della pace, della giustizia e dell’amore — di questo secolo è figura sovrana S. Bonaventura. Esso l’abbraccia per quasi cinquant’anni con la prodigiosità dell’opera sua d’insegnante, scrittore, oratore, superiore di Ordine, cardinale, consigliere ed amico di pontefici e di re. Ma — converrà ammetterlo scarsa fu la parte avuta dalla sua poesia nello splendore ch’egli gettò nella sua età, e, per ben altre qualità di mente e di cuore, che non per forti inclinazioni all’arte si vide cumulata tanta larga e concorde simpatia di elogi sul grande italiano del trecento che Lutero chiamava «incomparabile» e Rosmini diceva «universale e sommo».

Ciò non ostante, l’indifferenza che trascurò la sua non troppo modesta opera di poeta è immeritata e colpevole. Esso rivela in lui uno degli aspetti più simpatici — cioè quella tendenza ch’è la sua forma mentale, il carattere e lo spirito che vela e pervade la sua pro-