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123 IL BUON CUORE


scepolo: che cioè una traccia della sua soavità toccasse lo spirito e lo attraesse nella sfera delle sue estasi e dei suoi rapimenti. La sua anima, nonostante la sua trasparenza, non si lascia sentire se non da chi si ceda alle pure e inebrianti esaltazioni della fede, da cui fu plasmata e nutrita.

Ernesto Tanlongo.

Aprîl.


L’è passaa stoo invernasc; ah che ristór!
Se sent quell’ariettina profumada,
Dai primm germoeui che cascen foeura i fiór,
Che la te invida a fa ona passegiada.


Te sentet in del cocer come un calór
De vita noeuva, vita rinnovala;
Far fina che scomparen i dolór,
De sta nostra vitascia tribulada.


Oh primavera cara! Ah che bellezza!
Te see fedel ai sciori e ai poveritt.
A tutti te ghe fêt la toa carezza,


A tutti the ghe fêt i to basitt,
A tutti te ghe parlet con dolcezza
Adoperand la vôs di to uselitt.

federico bussi.

Il sorriso della Vergine

da un mosaico antico.

La famiglia del senatore Pudente ha ancora oggi sull’Esquilino il suo ricordo: le due chiese dedicate alle sue due figliole, vergini e martiri della persecuzione, santa Pudenziana e santa Prassede, rammentano ai romani dell’oggi inquieto e fuggente, la santità e la virtù di quell’uomo e di quelle fanciulle.

Santa Pudenziana è ora il tranquillo sepolcro di vari membri della nobile famiglia Caetani, Santa Prassede insigne basilica, ha invece in sè alcune cose belle che la rendono un piccolo museo d’arte. Per tralasciare dei musaici antichissimi che adornano l’abside, ricorderò brevemente un bel quadro, ora nella sacristia, che rappresenta la flagellazione di Cristo, opera certa di Giulio Romano e un sepolcro di prelato dovuto allo scalpello di Lorenzo Bernini. Ma meglio di ogni altra cosa io amo rammentare una cappella fulgida di antiche ornamentazioni musive, che è senza dubbio il verace gioiello di questa basilica.

La cappella ha una storia di costruzione e di arte che ha interessato vivamente i migliori studiosi delle cose italiche e romane, ma dovrebbe oggi avere anche un maggior culto: e non solo parlo del culto dell’arte, ma anche di quell’altro, il religioso. Forse ella è più conosciuta dagli stranieri che io vidi numerosi ad am-
mirarla specialmente nella quaresima, quando la cappella è aperta a tutti, agli uomini come alle donne, ma dovrebbero conoscerla anche i buoni romani, sopratutto gli abitanti dell’Esquilino, dovrebbero rammentare di avere una cosa bella di arte bizantina che ben poche chiese possono vantare.

Al successore di Leone III, il pontefice Pasquale I, noi dobbiamo le più interessanti costruzioni del secolo IX che Roma conservi. A canto a S. Maria in Domnica v’è nella storia e nell’arte, la Basilica di Santa Prassede che questo Papa riedificò dalle fondamenta.

Alcuni scrittori, guardando appunto gli splendidi musaici dell’abside e dell’arco trionfale, vollero giudicare anche il disegno della basilica della medesima epoca, ma con molta probabilità Pasquale non la ricostrusse che sulle vecchie costruzioni. E la cappella di S. Zenone, dove c’è la vergine a musaico, rimonta appunto a quest’epoca, poichè il papa ricostruendo il vetustissimo titolo aggiunse due oratorii: uno alla destra dedicato a S. Zenone, l’altro alla sinistra dedicato a San Giovanni Battista. Il libro pontificale ci fa ricordo di ciò con questa importantissima frase:

«In eadem ecclesia fecit oratorium beati Zenoni Christi martyris ubi e sacratissirnum eius corpus ponens musivo amplianter ornavit»

Anche Giovanni Battista De Rossi, studiosissimo dei musaici e dei pavimenti delle chiese romane, si occupa con un certo interesse critico per delucidare la personalità di questo oscuro ed ignoto Zenone cui il papa, devotissimo, consacrò l’oratorio. E viene a concludere che se non era proprio fratello di Valentino, ugualmente qui onorato, doveva essere suo socio di martirio.

Alla cappella si accede per una porta rettangolare i cui stipiti sono arricchiti di intrecciature di vimini secondo lo stile italo-bizantino. Due colonne di preziosissimo marmo, ma ineguali di diametro, le stanno ai fianchi posate su due basi sproporzionate. Molto interessanti sono i capitelli ionici di mano bizantina del secolo VI. Del resto non è forse anche bizantina del secolo VI l’architrave della porta principale riccamente scolpita a girate di foglie d’acanto silvestre con rose e melagrani? Lo stesso scalpello si può riconoscere su gli zoccoli e le basi delle colonne interne, se si tolgono quelle decorazioni che hanno attinenza all’età romana e che furono aggiunte allorchè il papa la costrusse. Que’ capitelli ionici dunque e la cornicetta che vi ricorre dietro sono di scalpello greco, e l’essere i primi scolpiti sulle facce aderenti al muro, e l’essere la seconda mutilata un poco ed anche più lunga di quello che la porta avrebbe in realtà richiesto, dan prova evidente dell’anteriorità di tali lavori del secolo IX. Una grande cornice ricchissima, probabilmente tolta da un antico edificio pagano, ricorre sulle colonne e dà all’insieme un qualche cosa di gravemente classico.

Entriamo ora nell’interno e prima di esaminarne il lavoro musivo, diamo un breve cenno a quello architettonico. L’interno della cappella consta di uno spazio quadrato. Su tre dei lati si aprono altrettanti nicchioni rettangolari. La volta è a crociera e agli angoli sono quattro colonne corintie che a loro volta sorreggono