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166 IL BUON CUORE


8. Tessera di partecipazione al Congresso Eucaristico e distintivo individuale del Pellegrinaggio.

Pellegrinaggio Popolare (Seconda Categoria); Viaggio di andata e ritorno: 11 Settembre (mercoledì) — Partenza dalla Stazione di Milano, via Semmering.

13-16 Settembre (venerdì-domenica) — Permanenza a Vienna.

17 Settembre (martedì) — Ritorno a Milano.

Durata complessiva del viaggio 7 giorni.

Educazione ed Istruzione


Il fondo del Vesuvio

esplorato da un vulcanologo

Il coraggioso vulcanologo è il prof. Alessandro Malladra, nostro amico, assai noto per i suoi lavori di precisione sul traforo del Sempione e, più ancora, per i suoi importanti commenti a nuove edizioni delle principali opere dell’abate Stoppani, il Corso di Geologia, Aria e Acqua e il Bel Paese.

Molti vulcanologhi avevano più volte tentato di raggiungere il fondo del cratere del Vesuvio, senza però riuscirvi. Il prof. Alessandro Malladra, coadiutore del R. Osservatorio Vesuviano, ripetè il tentativo e vi riuscì. Dall’ultima eruzione del 1906 l’immensa voragine è tutta formata da pareti a picco, dalle quali si sprigionano abbondantissimi fumaiuoli di vapore acqueo misti ad acido cloridrico e anidride solforosa. Per la maggiore abbondanza di questi vapori a misura che si scende nel fondo, dal quale si partono poi densissimi, tutti coloro che avevano tentato la discesa non vi erano riusciti, ostacolati principalmente dagli strapiombi che incontravano.

Il prof. Malladra, dopo un accurato esame della parete sud-est, riscontrò che era questa la più adatta. E giorni sono, accompagnato dall’inserviente dell’Osservatorio Andrea Varvazze, un esperto di studi vulcanologi per la grande pratica acquistata, alle ore 9 mosse dall’orlo del cratere, che è verso Pompei.

Fu lanciata nel fondo del vulcano una prima fune lunga 140 metri, e così il prof. Malladra discese per questa lunghezza, riscontrando come una gigantesca scalea di tratti a picco alternati con ripidissimi pendii.

A circa 120 metri fu raggiunta una larga e molto inclinata cornice di lava, che strapiombava nel fondo per più di cento metri. Il professore e l’inserviente girarono verso sud e camminando su quella cornice rag. giunsero una specie di ammasso di detriti a grossi elementi, del pendio dell’80-90%. Su di esso svolsero una corda di circa cento metri, che permise ai due intrepidi esploratori di raggiungere la enorme frana prodotta dallo scoscendimento del 12 marzo 1911 e che si stende fino al fondo del cratere, che fu toccato alle ore 11.

Il prof. Malladra restò nel fondo circa due ore, percorrendolo in ogni senso per compere numerose osservazioni, per fare le livellazioni barometriche e misure termometriche delle fumarole. La temperatura costante dei diversi punti nei quali essa fu misurata era dai 90 ai 98 gradi. La profondità del cratere è di circa trecento metri, e il prof. Malladra la determinerà
esattamente appena avrà controllato i dati avuti con la vellazione barometrica.

Prima di andar via, il prof. Malladra piantò nel mezzo del cratere una bandiera rossa, che potrà servire come punto di livellazione. Per risalire, i due esploratori percorsero, mediante una ginnastica acrobatica, veramente mirabile, la stessa strada segna a dalle corde. Le maggiori difficoltà incontrate furono appunto per le emanazioni degli acidi delle furnarole, che soffocavano il respiro e irritavano gli organi polmonari,

Ogni momento intorno ai due precipitavano frane, che si staccavano in massi isolati e piombavano nel fondo di balza in balza, riempiendo l’aria di cenere fittissima. È questo il più grave ostacolo e il più forte pericolo che si incontri nella discesa.

Il prof. Malladra ebbe agio di fare delle istantanee di alcune di queste frane e anche del fondo del cratere e delle pareti sono state ritratte fotografie, mentre una preziosa raccolta è stata fatta di minerali presi nelle fumarole.

Per risalire i due esploratori impiegarono due ore e mezzo.

UNA GIORNATA CON GLI ASCARI FERITI

all’ospedale militare di Palermo


(Dal Corriere d’Italia).

L’ospedale militare vive le sue prime giornate di vita indigena. Nel grande cortile, ove è chiara la vigile ed illuminata previdenza dei sanitari dell’esercito tanto appare lindo e luminoso l’asilo dei nostri soldati infermi, scorrono le ore di quiete della convalescenza gli ascari del 6.° battaglione indigeni che fu a Bu-Chemez.

Nello spianato, accoccolati alla moda orientale presso i pilastri o eretti nella svelta, asciutta, alta figura si notano questi gagliardi soldati italiani dell’Okulè Kusai, del Tigre, dello Scimensana, del Bogos. Gli alti berettoni chiazzano di scarlatto la sfavillante chiarità del meriggio. I piccoli quadri di genere abissino si moltiplicano. I nuovi soldati della Patria hanno i puri occhi mobilissimi soffusi di un colore ambrato scuro come le rocce delle loro ambe guerriere, come le tende d, i loro villaggi trincerati, come il dorso dei loro scudi di combattimento. Sono dei soldati, vi narrano la loro ferita atroce con un rapido fiammeggiare di fierezza e voi chiedete:

— Molto dolore?

— Niente dolore....

Sotto la mitraglia, sotto la lancia, sotto il kurbasc questi ascari non fanno rinuncia di orgoglio e non di. chiarano la sofferenza a nessun costo.

Date libri agli ascari!

Stringiamo la mano ai valorosi del 6.° indigeni e cogliamo in essi un gesto di saluto cordiale, aperto, en bon enfant. Un capitano ci è vicino, ma questi vien salutato con altra espressione negli occhi, con gesto di alto rispetto, di ossequio, di riconoscenza per l’onore ricevuto dalla stretta del superiore. E chiediamo:

— Tu non salutare me come capitano, tu non sapere....

— Capitano è soldato, ufficiale, tu borghese.

Se il ministro della guerra visitasse l’ospedale ed i. suoi ospiti eritrei chiusi borghesemente nella redingote parlamentare, l’ascaro tradurrebbe in dialetto amarico l’ellica! palermitano picchiando dei piccoli colpi confidenziali sulla spalla del generale presentatosi come un borghese qualunque.

Le rapide interviste continuano: