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Anno XI. Sabato, 10 Agosto 1912. Num. 32.


Giornale settimanale per le famiglie

IL BUON CUORE

Organo della SOCIETÀ AMICI DEL BENE

Bollettino dell’Associazione Nazionale per la difesa della fanciullezza abbandonata della Provvidenza Materna, della Provvidenza Baliatica e dell'Opera Pia Catena

E il tesor negato al fasto
Di superbe imbandigioni

Scorra amico all’umil tetto .....

ManzoniLa Risurrezione.

SI PUBBLICA A FAVORE DEI BENEFICATI della Società Amici del bene e dell'Asilo Convitto Infantile dei Ciechi
La nostra carità dev’essere un continuo beneficare, un beneficar tutti senza limite e senza eccezione.
RosminiOpere spirit., pag. 191.

Direzione ed Amministrazione presso la Tipografia Editrice L. F. COGLIATI, Corso Porta Romana, N. 17.




SOMMARIO:


Educazione ed Istruzione. —Giulio Gianelli, Il dolore di Michelangelo — Adone Nosari, Il rifugio di Ibsen ad Amalfi — Alessandro D’Ancona, Il volo del Manzoni per Roma capitale — Echi del congresso geologico nel territorio lecchese e nella Valsassina.
Religione. —Vangelo della domenica undecima dopo Pentecoste.
Notiziario. —Necrologio settimanale — Diario.

Educazione ed Istruzione


Il dolore di Michelangelo

Da pochi anni il pubblico (dico pubblico inesattamente) si interessa alla vita intima di Michelangelo. Prima bastava il suo nome quasi balenante di una luce al di là a dare un’idea molto vaga del suo genio colossale. Il suo nome è un po’ fratello, nella fortuna a traverso i secoli, a quello di Dante e di Sanzio nel fatto che dall’alta gloria a cui pervennero sono universalmente noti, pronunciati da tutte le labbra senza che la ragion prima di tanta gloria invogli le anime ad una conoscenza più precisa. Anzi l’opera loro, terribile di bellezza, intimidisce e scosta i profani per attirare e penetrare di amore ardente solo gli eletti. Infatti il novecentonovantanove per mille degli italiani non vede che una volta sola il Mosè anche se tutte le circostanze più propizie siano a loro favorevoli per ripetere la visita alla Chiesa di S. Pietro in Vincoli.

È così. Del resto eguale fenomeno si ripete per tutte le arti, per tutti i grandi nomi diventati non altro che simboli del genio e valori per quotare la minore o maggiore elevazione spirituale di questa o quest’altra nazione. Tuttavia gli adoratori della bellezza in tutte le sue forme ci sono e ci saranno sempre: rari, isolati, sperduti; ma eterni. Ecco, ora, Michelangelo ricercato, scrutato, nelle sue lettere, nelle sue poesie. D’ora innanzi, accanto alle visioni evocate dal suo nome, contempleremo anche quella del suo spirito; non più un momento solo della sua vita interiore, fissato nel marmo, ma potremo vivere con lui della sua vita quotidiana.
L’incanto di quella pura solennità aspirante all’infinito è rotto; conosceremo Michelangelo insonne, torturato, assetato nello sforzo di trascendere l’involucro mortale, teso con le radici dello spirito alla conquista di un’altezza spirituale che gli dia la pace. Il fatto che dovette rifugiarsi nella poesia non bastandogli i mezzi sovrani di cui disponeva per esprimersi, prova che ozio non fu mai nella sua vita: la parola, pennello e scalpello dei solitari, la parola che concede di operare scolpendo e dipingendo, pur nella immobibilità più assoluta, in qualsiasi condizione di tempo e di luogo che sarebbe negativa a trattare il marmo e la tela, fu per Michelangelo l’arme per combattere il suo divino demone interiore, il balsamo per carezzare le piaghe dell’anima ferita, fu la voce per il grido, fu la preghiera e il lamento tra un lavoro e l’altro, e la compagna inseparabile di tutte le ore. Bisogna pensarlo questo creatore di forme, questo vincitore della materia, colui che si scagliava contro il marmo come belva sulla preda, sempre insaziabile, insoddisfatto, raffigurarlo ai nostri occhi sprezzante della gloria e fisso al proprio cuore in cerca di un’armonia su cui potesse riposare. Poetava per bisogno irresistibile: il suo verso è per lo più scabro, ma la parola vi regna e balena, quasi corrusca: egli la trae dall’intimo suo che è tutto un solo ardore e ce la presenta come un carbone, acceso ancora di qualche fiamma lingueggiante.
Solo io ardendo all’ombra mi rimango,
Quando il Sol dei suoi razzi il mondo spoglia;
ogni altro piacere, e io per doglia,
prostrato in terra mi lamento e piango.

Così scriveva in versi nel 1523 quando la sincerità nella lirica era cosa non soltanto fuori moda, ma quasi impossibile grazie ai modelli tiranneggianti e allo stampo petrarchesco non ancra disfatto.

Un altro grido:

Io piango, io ardo, io mi consumo, e il core
di questo si nutriste. O dolce sorte!
Chi è che viva sol della sua morte,
come fo io d’affanni e di dolore?
Le parole ardere, agghiacciare, ricorrono frequentissime con vivacità di immagini, ma con maggiore intensità di significato che non avessero nelle rime del