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IL BUON CUORE 251


role, però... Mi donò, un giorno, un suo vestito.... Lo avrei serbato sempre nell’armadio se avessi saputo che quel piccolo signore dalla grande testa ispida era un poeta.

— Poeta! poeta! poeta! — blaterò un omuncolo alto poco più che così, dal viso scolpito da innumeri rughe e incorniciato da favoriti sale e pepe che alla lontana potrebbero somigliare un poco a quelli di lbsen e altrettanto a quelli di Griiger transvaliano.

Il padrone, signor Barbaro, un pronipote del fondatore dell’albergo, mi spiegò che quel vecchietto ritiri, secchito dalla senescenza è Andrea Guerriero, il cuoco ora in riposo dell’albergo.

E Guerriero, saltellando come un agile cercopiteco, non troppo eretto, trascina nel mezzo del salotto la scrivania storica e, balbettando parole incomprensibili, fa l’atto di scrivere e poi corre sulla terrazza e cammina in su e in giù con aria penosa e grottesca per mostrare a voce ed ai signori che sono meco ciò che Ibsen faceva abitualmente.

Poi, a suo modo, più con i gesti che con la voce, mi racconta delle ghiottonerie che sapeva preparare al poeta al quale non dispiaceva il vino arzillo detto del Cannello... Anzi L. Ibsen, buongustaio, soleva dii e che di ogni paese bisogna saper apprezzare i prodotti indigeni. Si beva pure la birra nel nord, ma il vino in Italia....

— E del poeta aveste mai più notizie dirette? — chiesi al padrone.

— Sì. Ed ecco come. Egli, prima di partire, dopo che ebbe terminata la sua opera, scrisse sul nostro album la propria firma; ma i collezionisti di autografi ce la strapparono via con tante altre di indubbio valor’e, come quelle di Gladstone, del cardinale Gioacchino Pecci e di Hugo. La mia mamma, che vive ancora, gli scrisse diciotto anni fa e Ibsen le rispose da Cristiania in data 16 luglio 1894, questa lettera che conserviamo in cornice.

Col suo caratteristico carattere regolarissimo, secco, privo di svolazzi, obliquo da sinistra verso destra, Ibsen ricorda in italiano — che conosceva perfettamente — alla signora Barbaro i bei giorni trasi:orsi nell’autunno del 1879, nell’Albergo della Luna, sulla riviera incantata di Salerno.

— Poi più nulla?

— Di lui personalmente, più nulla — saltò su Raffaele Barbaro il cameriere; — ma....

— Di’ pure.

— La mattina del 23 ottobre 1905, scese al nostro albergo un signore di mezza età, distinto nei modi e un poco triste. Ci chiese dell’appartamentino occupato già da Ibsen e subito lo prese in affitto per intero e poi vi si chiuse dentro. Passò qualche ora ed egli non si faceva vivo. Noi, sinceramente, eravamo in pensiero. Con la scusa di annunciargli che la colazione era pronta, bussai all’uscio parecchie volte finchè l’ospite non mi venne ad aprire:

— «Signore.... — dissi e, poichè egli aveva gli occhi lagrimosi -e il viso pallido e triste, non ebbi cuore di continuare. Dietro di me stava Guerriero il cuoco.

— «Non sei tu, Barbaro il cameriere? e tu non sei il cuoco? — ci domandò quasi sottovoce.

— «Signorsì — risposi.

— «Non mi conosci?

— «Non mi pare....

— «Guardami e cerca nella tua memoria.

— «?

— «Non trovi? — e così mi passò il suo biglietto da visita.

«Lessi: Sigurd Ibsen. Io rimasi così confuso ed egli abbracciò piangente il cuoco e me. Chi doveva riconoscere in quel signore severo il signorino di ventisei anni prima?» — e il cameriere tacque commosso, preda alle memorie.

Nessuna lapide — che potrebbe essere murata tra le due finestre che guardano il mare, corrispondenti alle camerette ove dormì la famigl’uola Ibsen — ricorda che là in un quieto autunno italico, di tra il maturare degli aranci e i pungenti profumi del Tirreno nacque un capolavoro.

Ma entro le mura di poche piccole camere, per lo spirito dei pellegrini che si soffermano ad Amalfi, vive e palpita ancora per l’eternità l’anima del solitario scandinavo.

Il voto del Manzoni

per Roma capitale

Sabato scorso venne presentato a Francesco Torraca, che è così alta illustrazione della coltura e della scuola italiana, in ricorrenza del trentaseiesimo anniversario della sua laurea, un volume di studi a lui dedicato per cura di un Comitato di uomini insigni, del quale fan parte Benedetto Croce, Alessandro D’Ancona, Nicola Zingarelli e altri dotti scrittori Del volume, ove sono raccolte pagine di molto interesse, e nella pubblicazione del quale si sono fatto onore l’editore Francesco Perrella e la Società Tipografica «Leonardo da Vinci» di Città di Castello, discorrercmo di proposito ed ampiamente in seguito. Oggi ci cowpiacciamo di poter offrire ai lettori un saggio degnissimo con questo articolo del D’Ancona, che ha una grande importanza per il Manzoni e per la storia del nostro Risorgimento:

Il documento che segue, e che è tratto dal copioso carteggio di G. B. Giorgini colla moglie Vittorina, figlia, com’è noto, di Alessandro Manzoni, conferma con nuovi particolari di fonte tanto autorevole, ciò che già sapevasi delle convinzioni e dell’atteggiamento del gran poeta e pensatore rispetto al dominio temporale della Chiesa. E invero quante pressioni si facessero al Manzoni perchè nel ’64 non si recasse al Senato a votarvi il trasferimento della capitale da Torino fu nuovamente e largamente esposto dal prof. Michele Scherillo in un articolo del Corriere della Sera del 4 aprile 1911: e codesto articolo ha ora efficace rincalzo dalla parola del Giorgini, della quale non vi ha bisogno dimostrare il valore.