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322 IL BUON CUORE


Duchessa di Genova che lo stesso anno della morte del filosofo insigne era rimasta vedova del valoroso Principe Ferdinando di Savoia. Trasformata in sontuoso palazzo, venne conservata intatta la stanza dove morì il Rosmini, al primo piano, rivolta al monte. Sul soffitto dell’alcova si vede ancora l’affresco dell’angelo che porta un’anima in paradiso. Anche la cappella è quella del Rosmini, ed altri oggetti conservati dalla Duchessa con religiosa cura. E tre anni or sono l’Augusta Signora fece adornare la facciata orientale della villa con un bassorilievo in bronzo, opera di Pietro Canonica, rappresentante Rosmini e Manzoni, con epigrafe del Fogazzaro che con possente immagine li chiama duplice vortice sublime di unica fiamma.

A formare il carattere religioso della Duchessa contribuì oltre l’opera del padre Suo, il Re Giovanni di Sassonia, uomo di grande ingegno (è il famoso dantista pseudonimo Filalete) e di religiosità elevata, certamente anche l’influenza rosminiana, come se lo spirito del filosofo roveretano dal mondo della verità esercitasse arcani influssi su Colei che abitava, nel mondo della vanità, la stessa casa dove il suo frale era morto. Ella sopratutto gradiva trascorrere un’ora di meditazione nel «boschetto delle quercie» in cui si erano ritirati tante volte il Rosmini e il Manzoni a discutere su alte questioni religiose e filosofiche. Gli estremi conforti e riti ebbe dal P. Rosminiano D. Pierino Cerutti, Rettore del Collegio, che l’assisteva religiosamente in vita, e che è caro e dolce amico nostro e della R. R.

Religione


Vangelo della domenica seconda d’Ottobre


Testo del Vangelo.

Il Signore Gesù se n’andò al Monte Oliveto: e di gran mattino, tornò nuóvamente al tempio, e tutto il popolo andò da Lui, ed Egli stando a sedere, insegnava. E gli Scribi e i Farisei condussero a Lui una donna colta in peccato: e postala in mezzo, gli dissero: «Maestro, questa donna or ora è stata colta che commetteva peccato. Or Mosè nella legge ha comandato a noi che queste tali siano lapidate. Tu però che dici?» E ciò essi dicevano per tentarlo, e per avere onde accusarlo. Ma Gesù, abbassato in giù il volto, scriveva col dito sulla terra. Continuando quelli però ad interrogarlo si alzò e disse loro: «Quegli che è tra voi senza peccato, scagli il primo la pietra contro di lei». E di nuovo chinatosi scriveva sopra la terra. Ma coloro, udito che ebbero questo, uno dopo l’altro se ne andarono, principiando dai più vecchi: e rimase solo Gesù e la donna che si stava nel mezzo. E Gesù alzatosi le disse: «Donna, dove sono coloro che ti accusavano? nessuno ti ha condannata?» Ed ella: «Nessuno, o Signore». E Gesù le disse: «Nemmeno io ti condannerò: vattene e non peccar più».

S. GIOVANNI, cap. 8.

Pensieri.

Il brano di Vangelo d’oggi è, e rimarrà sempre un episodio di gentilezza tutta singolare. Episodio di giustizia completa, perfetta, che si disposa in una maniera sorprendente ad una più squisita carità, dando così la prova che la giustizia vera non riesce ad altro, che ad essere un supremo atto d’amore.

Dio — Gesù — in un atto solo confonde la cattiveria umana, l’ipocrisia dei suoi nemici, solleva una vittima delle passioni, difende il peccatore, colpisce il peccato. Più non era possibile ottenere: solo lo ha potuto la divina sapienza guidata da uno squisito senso di pietà che non è debolezza, che è forza che rinnova, salva e difende i diritti di Dio e della santa sua legge.

Lo studio della pietosissima scena, dei personaggi che vi operano, dalla colpevole ai maligni, alla severa maestà del giudice Gesù può suggerire pietose riflessioni sulla vergogna della colpa, sulla debolezza umana, sulla falsità ed empietà dello zelo farisaico e mondano, sulla giustizia di Dio che trova modo di fuggire la debolezza verso la colpa nel mentre salva il peccatore. Scena grandiosa! in essa vi lavora l’umano, la parte più bassa, più vile, più caduta in contatto coll’azione divina, colla azione religiosa, col sacramento a mezzo del quale i figli della colpa, i diseredati, le vittime delle passioni si lavano e purificano d’ogni macchia, diventano gli eredi delle grandi promesse divine, ponno rivivere una seconda miglior vita, la vita religiosa, la vita dello spirito anche quaggiù, dove freme e rugge e turbina il grande mare delle umane passioni.

L’azione del sacramento della Penitenza o Confessione qui vi è meravigliosamente descritta. Si svolge sopra il peccatore, l’uomo. L’uomo è debole: per il peccato originale offeso e paralizzato nelle sue energie migliori non può fare senza che falli. Pochi assai a questa legge triste — vera nel fatto — vi sfuggono in una vita deserta, appartata, difesa contro tutti e tutto. Il rimanente pecca, e la vita trascorre di debolezza in debolezza precipitando talvolta nella colpa più sporca ed avvilente.

L’uomo dal profondo non saprebbe come uscirne; a lui avvilito, confuso, impotente — negli slanci pur sempre generosi della mente e del cuore — non rimarrebbe che la bestemmia e la disperazione innanzi all’oculata e rigida giustizia di Dio, ed allora?...

Dio s’avvicina, dà modo di sollevarsi, colpendo inesorabile la violazione del suo diritto, compatendo e rendendo giustizia alla umana fragilità. E ciò colla massima discrezione: ciò nella massima delicatezza, tutto circondando d’un silenzio e secreto inviolabile, chiedendo all’uomo medesimo, al suo spirito l’atto riparatore, che strugga l’antecedente, che voglia rinnovarsi, dove cercò e volle il vecchio, l’antico, che ami la luce dove preferì le tenebre, che ponga amore dove volle l’egoismo e la bassa soddisfazione ed il piacere degradante. Filosofia o religione che sia, su quest’ideale non buttate fiori voi che sentite e provate — a mezzo di Dio — la vostra rinnovazione morale?!