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IL BUON CUORE | 347 |
S. LUCA, Cap. 3.
Pensieri.
Ego... vox clamantis...
Cos’è una voce?
Non ogni rumore che percuota il nostro orecchio può dirsi una voce. Solo voce si dice un complesso d’armonie, che, udito, suscita e rivive nel senso l’impressione grata, nello spirito i fremiti buoni. Questo è voce! S’io guardo ed osservo il creato quale, quanta voce mi percuote! La distesa dei cieli, l’azzurro dell’onde, la varietà della terra, il brillare delle stelle ha per me un linguaggio potente: come piccino il mio essere innanzi a tanto mare!... quanto grande il mio spirito che tutto lo domina... quanta sublime intelligenza che ne misura le grandezze, ne divina le leggi, dal più profondo degli abissi strappa — vincitrice sempre — ogni più oscuro segreto...
Abbassiamo lo sguardo sul re del creato, sull’uomo, sul principe della terra. Nell’uomo grave mi parla il senno, la prudenza: nella madre il sublime atto del sacrificarsi alla vita, all’educazione, all’amore: nella timida fanciulla l’onor della vergine: nel giovane ar-* * *
Tutto ci parla quaggiù. Lo stesso silenzio — disse il poeta — talvolta è un inno, ma questa voce è vaga, incerta per l’orecchio che la deve raccogliere: manca alle volte la parola che fissi la voce del creato, della natura... senza le note si perde il ritmo che freme nello spirito, senza la parola si perde il grandioso ritmo del cosmos.
Occorreva la parola. Venne da Dio. La religione ce la svela. Grandiosa voce della religione, che si fece udire in tutti i tempi, sino agli estremi confini della terra, dalle più superbe metropoli al tugurio del povero, dagli ampli palazzi alla tenda, al tucul del selvaggio abitator del deserto, della foresta!
S’inchinarono i popoli — felici loro! — a quella voce, alla voce di Cristo, il profetato. l’annunciato dal profeta del deserto.
S’inchinarono i popoli — felici loro! e n’ebbero civiltà, progresso, fraternità.
S’inchinarono i popoli — felici loro! — cessò l’egoismo in terra, l’odio, le gare disoneste.
S’inchinarono i popoli — felici loro! e levato il lor capo videro i cieli, scoprirono una seconda, una miglior vita; scoprirono non la materia dissolventesi e passeggera, trovarono l’ideale, la vita eterna.
S’inchinarono i popoli -- felici loro! — raccolsero non i triboli e le spine, raccolsero la felicità.
* * *
Banditore di questa voce è il sacerdote di Cristo. Dalla viva sua voce apprese il suono di giustizia, di libertà, di verità e corse i popoli interi perchè si svegliassero dal sonno di morte alla voce di vita. Per ogni dove generosamente quella voce — a mezzo della Chiesa — dei sacerdoti essa risuonò: nel tempio, nelle piazze, nelle arti, nelle scienze, nella libera voce, dei giornali che la stampa scarica ogni giorno. Come mai fu raccolta questa voce?
Parla il sacerdote: la sua semplice parola è raccolta dalla vergine pia, dalla vecchierella cadente, dall’uomo a cui l’età fugò l’ardor delle passioni, dal vecchio uso ai casti pensieri della tomba.
Parla il sacerdote: verso di lui l’ingiuria villana dell’operaio, l’odio verso di lui, il sorriso beffardo dell’uomo d’affari; verso di lui la benevola compassione del giovane signore che passa eloce, elegante, che apprezza quella voce per gli altri, la disdegna per sè.
Parla il sacerdote: al vibrar della sua voce freme d’amor nel suo cuore, all’amor di Cristo unisce l’amor dei fratelli che gemono in povertà, che fremono fra gli ori ed i comodi, di tutti... Chiede che l’amino, che lo abbiano a seguire dietro l’orme luminose di Cristo, della Chiesa... L’urlo lo osteggia... il popolo preferisce la voce delle proprie passioni, di chi lo adula, di chi lo avvince di catene d’oro. Il sacerdote?... vox clamantis in deserto.
B. R.