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IL BUON CUORE 349


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Con decreto 3 maggio 1843 mons. Di Calabiana veniva nominato Senatore, sebbene non avesse ancora raggiunta l’età di 40 anni, sicché il Senato nella tornata del 22 del mese stesso, per approvare la nomina senza contraddire allo Statuto, gli dovette concedere scltanto voto consultivo, finché non avesse raggiunta l’età prescritta. Era assiduo alle adunanze del Senato sempre inspirandosi ad un altissimo concetto, quello della religione unita alla libertà, e della libertà unita alla religione. Il suo programma politico costantemente seguito fu quello di contribuire all’accordo cordiale, nella distinzione delle rispettive attribuzioni, tra Chiesa e Stato a bene del popolo. E per conciliare gli interessi della Chiesa con lo Stato prendeva attivissima parte in Senato nell’aprile del 1855 quando venne discusso il progetto di legge sulla soppressione di diverse comunità e stabilimenti religiosi. Facendosi interprete dei sentimenti dell’episcopato piemontese aveva proposto, in cambio del rispetto delle istituzioni e delle proprietà religiose, di dare allo Stato una somma corrispondente a quella che il governo si riprometteva di ottenere con legge. La proposta non venne accettata dal governo, ma fu riconosciuta da tutti, e dallo stesso conte di Cavour, allora presidente del Consiglio, come prova di quel sentimento di vero e alto patriottismo, che ispirava mons. Nazari di Calabiana e l’Episcopato piemontese.

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Nel 1867 il vescovo di Casale venne da Pio IX promosso alla sede di Milano. Nonostante la sottoscrizione plebiscitaria dei casalesi, che imploravano dal Papa la revoca di una tal nomina per il dolore di perdere l’amatissimo Vescovo, la nomina venne mantenuta. Degna dí essere conosciuta è la lettera cortese da lui scritta in data 12 giugno al sindaco di Milano per annunciargli il suo ingresso.

Il documento che noi trascriviamo dall’autografo, era rimasto finora inedito; e nella sua aurea semplicità basta a scolpire il carattere morale dell’uomo:

«Illustrissimo Signore, Trovandomi in dovere di recarmi quanto prima in mezzo dei miei diocesani io mi fo premura di annunziare a V. S. Ill.ma che quando nulla vi osti, avrei avvisato di prendere personale possesso di cotesta Sede Metropolitana il giorno 23 del corrente mese (domenica). Io l’accerto che quanto più modesto sarà il mio ricevimento, tanto maggiore sarà la soddisfazione del mio animo, il quale alieno per indole da ogni clamorosa dimostrazione non desidera altra cosa che di venire così apportatore di pace e di benedizione. Se le deboli mie forze non potranno operare tutto quel bene morale e religioso, che pure bramerei a vantaggio dei nuovi diocesani, io invoco sin da ora da chi amministra con tanto senno la cosa pubblica e dei buoni milanesi tutti compatimento ed indulgenza. La buona volontà essendo pur qualche cosa, di questa io spero, che vorranno Eglino tenermene conto. Mi dò l’onore di essere con ossequioso rispetto e particolare considerazione, di V. S. ill.ma dev.mo e obl.mo servitore

Luigi di Calabiana, arcivescovo».

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Il suo ingresso avvenne appunto il 23 giugno del 1867. Numerose famiglie coi loro equipaggi furono a riceverlo alla stazione, e appena con la sua alta figura, col suo volto dignitoso e improntato a bontà, l’Arcivescovo si affacciò sul piazzale una salva di applausi inaugurò il suo episcopale ministero nella metropoli lombarda.

Le sue prime cure egli rivolse alla educazione e alla disciplina del clero; provvide con grande generosità affinché non pochi chierici e giovani sacerdoti di eletto ingegno e di attitudini distinte compissero nelle pubbliche Università gli alti studi e laureati potessero in seguito servire di ottimi insegnanti nei seminari diocesani.

La sua carità, che tante e sì belle prove aveva dato negli anni precedenti in Milano trovò un campo più vasto e dispose di risorse maggiori. Fatto erede di un cospicuo patrimonio da una pia dama milanese, che gli aveva serbato gratitudine per il conforto squisito che il vescovo le aveva dato in occasione di un grave lutto, mons. Di Calabiana erogava la somma alla erezione di un ospedale a Melegnano. Un palco al teatro alla Scala da lui regalato all’istituto dei ciechi fruttò all’Istituto la somma di 13 mila lire.

Poco dopo il suo ingresso in Milano nel dicembre del 1869 si riuniva il Concilio Vaticano. Si conoscono le vicende che in quel Concilio subì la discussione intorno alla dottrina della infallibilità del Pontefice. Mons. Di Calabiana appartenne al gruppo della minoranza, che non credeva opportuna la definizione dogmatica di tale verità. Appena proclamato il dogma egli però non solo si affrettò a farvi pronta adesione, ma invitò il suo gregge ad imitarlo. Se con la opposizione manifestò uno dei caratteri più importanti del Concilio, la libertà, con la sommissione manifestò che il carattere essenziale della Chiesa cattolica dinanzi alle verità dogmaticamente definite non può essere che uno solo: l’unità.

Un evento faustissimo venne ad associarsi al suo episcopato, un evento di fama mondiale: la scoperta e la esaltaziond dei corpi di S. Ambrogio e dei SS. Gervaso e Protaso. Son note le vicende di quell’episodio. Tutto era apparecchiato per il trionfale trasporto delle insigne reliquie dal Duomo a S. Ambrogio dove sarebbero state collocate nell’urna preziosa per la quale l’Arcivescovo aveva contribuito con una offerta di 30 mila lire, quando un improvviso ordine governativo vietò la grande dimostrazione religiosa. Le S. Reliquie vennero trasportate di notte tempo scortate da tutto il popolo milanese, che volle così esprimere la sua fede e la sua nobile protesta contro l’assurdo divieto. Memorabile è l’allocuzione recitata da mons. Di Calabiana in Duomo il giorno 14 maggio 1874 in tale circostanza.

Il 9 gennaio 1878 moriva Vittorio Emanuele II, e l’Arcivescovo di Milano si associava al lutto nazionale indicendo delle pubbliche preghiere di suffragio. La morte del grande Pio IX seguita poco appresso venne da lui annunciata al popolo con una nobilissima circolare in cui Egli esprimeva il suo profondo