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Vingtcinq! — annunzia il croupier. — Rouge, impair et passe!

Avevo vinto! Allungavo la mano sul mio mucchietto moltiplicato, quando un signore, altissimo di statura, da le spalle poderose troppo in su, che reggevano una piccola testa con gli occhiali d’oro sul naso rincagnato, la fronte sfuggente, i capelli lunghi e lisci su la nuca, tra biondi e grigi, come il pizzo e i baffi, me la scostò senza tante cerimonie e si prese lui il mio denaro.

Nel mio povero e timidissimo francese, volli fargli notare che aveva sbagliato — oh, certo involontariamente!

Era un tedesco, e parlava il francese peggio di me, ma con un coraggio da leone: mi si scagliò addosso, sostenendo che lo sbaglio invece era mio, e che il denaro era suo.

Mi guardai attorno, stupito: nessuno fiatava, neppure il mio vicino che pur mi aveva veduto posare quei pochi scudi sul venticinque. Guardai i croupiers: immobili, impassibili, come statue. Ah sì? — dissi tra me e, quietamente, mi tirai su la mano gli altri scudi che avevo posato sul tavolino innanzi a me, e me la filai.

— Ecco un metodo pour gagner à la roulette, — pensai, — che non è contemplato nel mio opuscolo. E chi sa che non sia l’unico, in fondo!

Ma la fortuna, non so per quali suoi fini segreti, volle darmi una solenne e memorabile smentita.

Appressatomi a un altro tavoliere, dove si giocava forte, stetti prima un buon pezzo a squadrar la gente che vi stava attorno: erano per la maggior parte signori in marsina; c’eran parecchie signore; più d’una mi parve