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era, nè poco nè molto, per un pajo di calzoncini, io credo, chiari, a quadretti, troppo aderenti alle gambe misere, ch’egli si ostinava a portare. Gli abiti che indossiamo, il loro taglio, il loro colore, possono far pensare di noi le più strane cose.

Ma io sentivo ora un dispetto tanto maggiore, in quanto mi pareva di non esser vestito male. Non ero in marsina, è vero, ma avevo un abito nero, da lutto, decentissimo. E poi, se — vestito di questi stessi panni — quel tedescaccio in prima aveva potuto prendermi per un babbeo, tanto che s’era arraffatto come niente il mio denaro; come mai adesso costui mi prendeva per un mariuolo?

— Sarà forse per questo barbone, — pensavo, andando, — o per questi capelli troppo corti....

Cercavo intanto un albergo qualunque, per chiudermi a vedere quanto avevo vinto. Mi pareva d’esser pieno di denari: ne avevo un po’ da per tutto, nelle tasche della giacca e dei calzoni e in quelle del panciotto: oro, argento, biglietti di banca, dovevano esser molti, molti!

Sentii sonare le due. Le vie erano deserte. Passò una vettura vuota; vi montai.

Con niente avevo fatto circa undici mila lire! Non ne vedevo da un pezzo, e mi parvero in prima una gran somma. Ma poi, pensando alla mia vita d’un tempo, provai un grande avvilimento per me stesso. Eh che! Due anni di biblioteca, col contorno di tutte le altre sciagure, m’avevan dunque immiserito fino a tal segno il cuore?

Presi a mordermi col mio nuovo veleno, guardando il denaro lì sul letto: