Pagina:Il mio Carso.djvu/27

Da Wikisource.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

― 19 ―

stroncando i rami aridi, perchè anche il padrone dorme, il signor Vatta dagli occhietti di gobbo. E poi si raccolgono, a tasche piene, nella veranda ombrosa e Scipio conta una bella, strana, lunga storia.

È una storia che continua ogni giorno e non finisce più. Nella piccola capanna del bosco è nato un eroe, forte come cento leoni e furbo come cento volpi. Le sue avventure fanno sgranare gli occhi di stupore, ridere di allegria chi ascolta. È un ragazzo bello, sereno, buono. È quello che tutti desiderano d’essere.

E dopo due tre ore zia Ciuta chiamava ch’era lettera per me, e mi portava contenta la lettera di mamma. Cara mamma mia. Tu allora preparavi, nel grande caldo d’agosto, le casse per il trasloco. Bisognava andar via dalla casa dov’erano nati i tuoi figli. Sì, mi ricordo che prima di partire avevo visto che rompevano i muri e i viali del giardino per i tubi dell’acqua, del gas; e lavoravano muratori, meccanici, falegnami, vetrai, tappezzieri, terrazzieri. Mi divertivo vederli lavorare. Ma noi s’andava via perchè il nonno era morto e venivano a stare altri parenti, più ricchi.

E io, tornato da Strugnano, fui molto contento di trovarmi in una campagna cento volte più grande, con infiniti frutti e viti, e molti compagni di gioco. Il giorno che arrivai arrivò pure, vestita d’una camicia rossa e tocco da fantino, la nipote del padrone di casa. Ucio la guardava, un po’ commosso, fra i viticci del capannuccio.